Tutto il mondo sa che spaghetti, maccheroni & Co. sono un’invenzione italiana. Eppure, pochi di quei consumatori che all’estero chiedono un piatto di pasta – al ristorante, nella mensa aziendale o scolastica, nelle pizzerie o nei punti di ristoro veloce in aeroporto o sull’autostrada – si ritrovano con un prodotto garantito 100% Made in Italy.
Soprattutto al di fuori dei confini europei: secondo un’indagine dell’Ipo-International Pasta Organization sono “prodotti in Italia” meno di tre piatti di pasta su dieci nel mondo (e tre su quattro in Europa). Negli ultimi 20 anni, peraltro, le aziende tricolori hanno fatto molto per aumentare oltreconfine la domanda di pasta autenticamente italiana: i tassi di crescita sono eloquenti in tal senso, con +57% di produzione e un export pari al +50%, volando al +150% nel Regno Unito, Germania, Belgio, Olanda ed Austria.
Una grandissima spinta al boom delle esportazioni di pasta 100% made in Italy è arrivata senz’altro dalle maggiori catene internazionali di ristorazione commerciale, oltre che da quella di alto livello. Tutte le maggiori aziende italiane del settore, quindi, hanno diversificato l’offerta per fasce di mercato – dalla mainstream alla premium, dalla biologica alla gluten free – non solo in Italia, ma anche all’estero. E non solo per la grande distribuzione, ma anche a soprattutto per il canale del Foodservice. A cominciare dalle imprese più rappresentative come Barilla, De Cecco, Divella, La Molisana, Del Verde, Granoro, Garofalo, Rummo, Agnesi (Colussi Group).
A tale scopo, negli ultimi anni, molte di loro hanno investito cifre sempre più rilevanti per ristrutturare gli stabilimenti, aggiornando e ingrandendo le linee di produzione su tutti i fronti: produttività, tecnologia e sostenibilità.