La corsa dei riders fra gig economy e tutele tradizionali

Che in Italia sia esplosa la bolla dei riders è ormai noto: la gig economy porta con sé nuove figure professionali e il sistema stenta ad adattarsi velocemente al cambiamento.

Mentre i Tribunali di Torino e Milano rigettano le domande per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con le multinazionali delle consegne a domicilio, i riders, ovvero quelli che un tempo avremmo chiamato più semplicemente fattorini, insorgono e trovano l’appoggio del governo e delle parti sociali.

In Parlamento si riflette sulla necessità di regolamentazione del fenomeno, le sigle del settore logistico provvedono da sole all’inserimento dei riders nel proprio contratto collettivo e a Milano, per dirne una, apre uno sportello comunale dedicato alla categoria che fornisce consulenza sui diritti e sulla sicurezza. Mentre il Governo cerca, perlomeno così è parso alla luce dei primi proclami del neo-Ministro del Lavoro, di ricondurre coloro che consegnano pasti a domicilio nell’alveo del lavoro subordinato, addirittura anche quando possono rifiutare di rendere la prestazione lavorativa, viene da chiedersi come risponderanno le multinazionali quali Foodora, Deliveroo e Just Eat, realtà nate e cresciute nell’era di internet, in cui la flessibilità è assurta a valore fondamentale.

Di cosa si nutriranno (ed è proprio il caso di dirlo) una volta che il proprio core business, il food delivery, subirà un incremento dei costi tale da poter divenire antieconomico anche e soprattutto per l’utente finale? E i consumatori saranno pronti e disposti, in nome delle rivendicazioni dei fattorini, a spendere di più per un servizio che nelle grandi città italiane è divenuto sostanzialmente indispensabile?

Intanto, per ora, i Tribunali dicono di no: i riders sono lavoratori autonomi, hanno contratti di collaborazione coordinata e continuativa e sono liberi di decidere se e quando mettersi a disposizione delle società. Ma la battaglia è destinata a continuare, la new economy digitale da una parte mette a dura prova il sistema, che stenta a rispondere immobilizzato com’è fra elefantiasi legislativa e burocrazia, dall’altra crea indubbiamente nuovi posti di lavoro e nuove figure professionali difficilmente inquadrabili negli schemi a cui siamo abituati. Il fenomeno è in crescita e continuerà a espandersi e nel mondo delle app potrebbe non avere più senso discutere sulla base di argomenti legati ad un sistema che oggi si mostra evidentemente inadeguato.

È chiaramente necessaria una regolamentazione e, in questo senso, prima ancora del legislatore, si stanno muovendo i diretti interessati: nel verbale siglato lo scorso 18 luglio fra Confetra, Fedit, Assologistica, Federspedi, Confartigianato Trasporti, Fita – Cna e da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, il rider è riconosciuto e regolamentato. Nell’accordo è stato previsto che ai riders siano applicate tutte le coperture assicurative e previdenziali, comprese la sanità integrativa e la bilateralità già attribuite a tutti gli addetti al settore. Con un orario di lavoro di 39 ore settimanali e una retribuzione globale di circa 1460 euro mensili, i riders della logistica sono quindi diventati lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Resta da capire cosa ne sarà di chi quel lavoro lo fa solo per arrotondare con una flessibilità che molto probabilmente non è sempre solo sinonimo di precarietà ma che, diversamente interpretata, può diventare anche un vero e proprio privilegio da difendere.

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