Stop alla spesa o allo shopping la domenica. E’ l’ipotesi di riforma delle liberalizzazioni, di giorni di apertura e orari, per gli esercizi commerciali lanciata dalla maggioranza di governo. L’obiettivo è reintrodurre l’obbligo di chiusure domenicali e festive per i negozi, almeno per un certo numero di festivi all’anno. Unica eccezione, gli esercizi commerciali delle località prettamente turistiche. Un giro di vite che da giorni sta facendo discutere e litigare, con prese di posizione e spaccature sia tra politica e grande distribuzione sia all’interno del mondo dei retailer.
LA POSIZIONE DI CONFIMPRESE
“La domenica vale il 20% del fatturato della settimana – chiarisce Mario Resca, presidente di Confimprese, associazione che rappresenta le grandi imprese commerciali con 35mila punti vendita e 600mila addetti tra franchising, retail e commercio moderno – e il sabato il 25 per cento. E ancora parliamo di chiudere i negozi? La misura è antistorica e porta il Paese a una drammatica recessione dei consumi, al calo dell’occupazione e a una sempre minore attrattività dell’Italia agli occhi degli investitori stranieri. Chi lavora la domenica guadagna il 30% in più in busta paga. Se la proposta di legge prevede di tenere aperti i negozi nelle città turistiche, sono a rischio 150mila posti di lavoro”. Una bocciatura su tutta la linea, che invita a tenere conto anche dell’indotto generato dagli esercizi commerciali: “Qualcuno ha pensato – continua Resca – che le spese di gestione nei centri commerciali non si abbassano di certo se i negozi sono chiusi la domenica e che le chiusure si ripercuotono su tutto l’indotto, parcheggi, benzina, ristorazione e consumi fuori casa? Senza le domeniche si azzera il business”.