Nel 2009 nasce Cioccolatitaliani: un progetto destinato in meno di dieci anni ad affermare in Italia e non solo il format del Chocolate Bar, creato per valorizzare un prodotto d’eccellenza esaltandone le molteplici declinazioni legate alla somministrazione. Oggi la catena conta 34 punti vendita, dei quali 23 nel nostro paese e 11 all’estero, tra Medio Oriente e area dei Balcani, cui si aggiungerà a inizio 2019 l’apertura di Rabat, in Marocco. Per conoscere più da vicino questa realtà in costante fermento abbiamo incontrato i suoi “creatori”: Giovanni Ferrieri, imprenditore napoletano di lungo corso, e il figlio Vincenzo, giovane bocconiano. Già, perché Cioccolatitaliani è un’impresa di famiglia e anche su questo valore poggia il proprio successo. Vincenzo, con l’appassionato e competente contrappunto del padre Giovanni, ci racconta strategia e progetti della società.
Come nasce Cioccolatitaliani?
Sono nato in una famiglia di imprenditori e commercianti. Dopo la laurea all’Università Bocconi, ho intrapreso un percorso nel mondo finanziario che si è rivelato molto prezioso per l’implementazione e lo sviluppo di Cioccolatitialiani. Evidentemente, lo spirito imprenditoriale era nel mio Dna e così nel 2009 mi sono confrontato con mio padre su quale potesse essere l’iniziativa giusta per mettere a fattor comune la sua esperienza nella ristorazione napoletana (catering, pasticceria, caffetteria) e la sua expertise sul prodotto con la mia formazione manageriale. Un mix che ritengo fondamentale per avere successo nel nostro settore: c’è una nuova generazione di imprenditori che lo ha capito, così come molti giovani artigiani colgono l’importanza di condividere i loro “segreti” professionali in nuovi progetti. Insieme stanno comprendendo che anche fare sistema, superando vecchi schemi e controproducenti “chiusure”, è fondamentale se si vuole competere in maniera efficace e vincente.
L’idea di scommettere sul cioccolato non è stata la prima…
In America avevo visto catene come Starbucks o Pizza Hut prosperare con prodotti italiani come pizza e caffè. In Italia era il momento giusto per lanciare un format contemporaneo, bello, accattivante, in una parola, “cool”, che puntasse su un prodotto in grado di essere proposto in modi diversi lungo tutta la giornata, un po’ come Le Pain Quotidien e Paul Bakery. Pensavo a un brand da declinare su determinati valori, a cominciare dall’eccellenza dei prodotti, utilizzando le leve del marketing e della comunicazione. In effetti, all’inizio volevamo entrare nel settore della gelateria, una nicchia che aveva ottime potenzialità di crescita, ma temevamo la stagionalità del prodotto. Allora abbiamo pensato di sviluppare un progetto più trasversale: da qui la decisione di puntare su un prodotto fortissimo, e con un target molto ampio, come il cioccolato e sulle sue molteplici applicazioni: dalla gelateria alla caffetteria, dalla pasticceria fino alla cucina (quest’ultima in tre locali italiani e in quasi tutti quelli all’estero).
Quali sono i tratti distintivi di Cioccolatitaliani?
Siamo il primo Chocolate Bar aperto in Italia. Abbiamo inaugurato un nuovo segmento di mercato attraverso un format che “democratizza” il cioccolato. Lo facciamo sperimentare a una clientela quanto mai trasversale, dal bambino al consumatore esperto, con un 70% rappresentato da donne 18-45enni, grazie a un approccio del tutto innovativo, svincolato dall’idea un po’ algida della boutique di lusso. E vorremmo diventare, sulla falsariga di altre esperienze uniche, come quella di Technogym che si definisce “Wellness company”, una vera e propria “Chocolate company”, specializzata nell’arte di mixare il cioccolato con i prodotti tipici italiani.
E sotto il profilo della gestione?
Un elemento che mi piace sottolineare è il fatto di aver sempre “pensato in grande”, applicando alla nostra impresa i valori e l’approccio propri della grande azienda, pur essendo una realtà di dimensione abbastanza contenuta, che chiuderà il 2018 con poco meno di 30 milioni di euro di fatturato al pubblico. Questo significa aver implementato una gestione efficiente e organizzata da tutti i punti di vista, dotandoci di un gruppo di manager di grande competenza, con esperienze in realtà come Lavazza e McDonald’s, e curando al meglio anche la parte contabile e fiscale. Il nostro bilancio è consolidato su base volontaria e certificato da Price Waterhouse Cooper. E lo scorso anno siamo stati premiati da Deloitte come Best Managed Company. A conferma di quanto penso da sempre: nel successo di un’impresa l’idea conta per il 3%, il restante 97% è implementazione e lavoro di squadra.
Quali sono le più importanti complessità per una realtà come Cioccolatitaliani?
Certamente il fatto di non essere un’azienda monoprodotto e quindi il dover gestire una gamma amplissima, diversi processi di trasformazione all’interno del punto vendita e quindi diverse competenze. Parliamo di qualcosa come 300 referenze e circa 3mila materie prime in magazzino.
Questo si traduce in massima efficienza anche sul fronte dei fornitori: come li gestite?
Da un lato abbiamo i professionisti che creano le ricette, aiutandoci a realizzare i prodotti, dall’altro ci sono i fornitori in senso stretto. Tre anni fa abbiamo fatto una scelta di valore, decidendo di concentrarci sul cioccolato. Abbiamo visitato una serie di produttori di cacao al fine di acquisire la materia prima più pregiata e certificata (il cacao “fino de aroma”, che rappresenta l’8% della produzione mondiale), da fornire alle aziende produttrici delle nostre ricette. La scelta è caduta su Casa Luker, una grande società che gestisce piantagioni in Colombia, alla quale abbiamo affiancato un’altra piantagione in Perù, selezionata in collaborazione con Icam, una delle aziende leader in Italia nella produzione di cioccolato con il presidio dell’intera filiera. Siamo convinti che questa scelta contribuirà a diffondere la cultura della qualità, un po’ come è successo negli ultimi anni per il vino.
A quali aziende vi affidate per i vostri prodotti?
Va premesso che i nostri fornitori sono tutti gestiti con accordi quadro che blindano le nostre ricette a marchio Cioccolatitaliani, messe a punto anche nell’ottica del franchising: volevamo che i prodotti conferiti ai nostri affiliati avessero tutti il nostro brand. L’altra regola fissa è quella di gestire sempre due fornitori su ogni prodotto-chiave, affidando a ciascuno una percentuale diversa della fornitura. Il motivo è semplice: non possiamo riservare a una sola azienda la fondamentale ricetta della base gelato, sarebbe troppo rischioso. Lo stesso vale per il caffè, che facciamo produrre su nostra miscela a piccole torrefazioni napoletane, o per i prodotti di pasticceria. Tra l’altro, i fornitori quando entrano in produzione con le nostre ricette devono avvisarci per tempo, così da consentirci di fare le visite e i controlli che riteniamo opportuni.
La logistica è interna o in outsourcing?
È esternalizzata, anche se viene gestita da un pool di tre addetti nei nostri uffici. I punti vendita sono riforniti due volte alla settimana e hanno una licenza per l’acquisto dei prodotti freschi e freschissimi da fornitori da noi selezionati, mentre per tutti gli altri prodotti ci rivolgiamo a operatori specializzati come Marr, Dac e Metro.
Quali sono le dimensioni e gli elementi caratterizzanti del format?
I nostri punti vendita hanno tre taglie, piccola, media e grande, spaziando dai 60 fino agli 800 metri quadrati di alcune location in Medio Oriente, dove possiamo sviluppare al meglio tutta la nostra gamma e abbiamo molti posti a sedere, come la tradizione locale richiede. Va detto che in Italia il 45% del fatturato dei negozi lo fa il gelato, mentre all’estero c’è un’equa suddivisione tra gelateria, pasticceria, caffetteria e cucina. Per gli allestimenti ci avvaliamo di un architetto interno e per ogni nuova apertura facciamo un bando di gara. Abbiamo un livello di ingegnerizzazione molto avanzato: all’affiliato vendiamo arredo e attrezzature, parte integrante del nostro know-how.
A proposito di franchising: quanto conta e a quale tipologia di partner vi rivolgete?
Il franchising è stato un modo per iniziare a crescere e fare massa: oggi rappresenta l’80% dei punti vendita, anche se nei prossimi tre anni contiamo di scendere al 60% e salire al 40% con quelli diretti. Per l’estero la formula è quella del master franchising: l’affiliato che scegliamo, al termine di un’accurata selezione, ha un’esclusiva territoriale e si impegna ad aprire un minimo di punti vendita, deciso sulla scorta di un’attenta analisi del mercato, entro un tempo determinato. Non importa la rapidità: ciò che conta in un nuovo mercato non è solo aprire locali, ma innanzitutto affermare un brand. Il partner ci dimostra il suo commitment riconoscendoci subito la fee d’ingresso per i locali concordati: in Marocco saranno almeno cinque.
Quali sono le prossime tappe di sviluppo?
Nel prossimo triennio intendiamo crescere in ambito sia domestico che internazionale, inaugurando almeno un paio di flagship store in importanti città europee. E continueremo a esplorare il canale travel, nel quale siamo entrati vincendo nel 2017 una gara per l’aeroporto di Malpensa, in partnership con il Gruppo Cremonini. Oggi siamo presenti anche a Ciampino, alla stazione di Cadorna e il prossimo anno apriremo a Roma Termini. A livello internazionale collaboriamo con Autogrill, con cui apriremo a marzo 2019 all’aeroporto di Atene.
Avete considerato l’ingresso di un fondo di investimento per implementare la crescita?
Abbiamo un’ottica di lungo periodo e non abbiamo una visione di massimizzazione del valore a breve. Puntiamo semmai a creare valore per l’azienda: non importa se in futuro, per crescere in maniera significativa, sarà in tutto o solo in parte gestita da noi. L’importante è che l’eventuale futuro partner abbia la nostra stessa visione.