…E vennero i flexitariani. Potrebbe benissimo essere il titolo dell’ennesimo film di fantascienza che parla dei soliti cattivoni alieni decisi a colonizzare la terra. I flexitariani, invece, sono già tra noi da tempo; non sono né grigi né verdi, non hanno il dono della telepatia e tantomeno si spostano in astronave. Vestono alla moda, pagano le bollette e prendono la metro…ma chi sono e cosa fanno esattamente?
In principio c’erano i vegetariani, con le varie declinazioni, latto/ovo/latto-ovo vegetariani, tutti accomunati dal fatto di non mangiare derivati della macellazione e della pesca. Poi vennero i vegani, di cui purtroppo, per colpa di un ristretto gruppo di fanatici, se ne parla sempre più spesso con un’accezione negativa, quando invece si dovrebbero approfondire i principi nobili ed etici che muovono il movimento vegan.
E infine vennero i flexitariani, contrazione di flexible vegetarian, vegetariano flessibile. Il flexitarianismo, il nuovo trend in fatto di regimi alimentari nato in Inghilterra e diffusosi rapidamente in tutta Europa, abbraccia gli stessi valori di rispetto animale e sostenibilità alimentare propri dei vegani, pur discostandosi, e di molto, della rigidità degli stessi.
Un flexitariano è una persona consapevole di tutte le conseguenze etiche e ambientali derivate da un eccessivo consumo di carne e per tale ragioni ne limita il consumo. Un flexitariano non dice no ad una bella bistecca ogni tanto, meglio se proveniente da allevamenti selezionati e non intensivi, non esclude dalla sua vita le persone non vegane e non manda a scuola i suoi figli con i pidocchi. Il senso del movimento flexitariano risiede appunto nel nome: vegetariano flessibile.
Parlando di ortoressici, la faccenda è molto più delicata. L’ortoressia, dal greco orthos (giusto) e orexis (appetito), è l’ossessione, che talvolta può sfociare in un vero e proprio disturbo alimentare, per il cibo sano. Benchè, a differenza della bulimia e dell’anoressia, non sia ancora ufficialmente considerata come una patologia alimentare, si stima che circa 450’000 italiani soffrano di ortoressia.
Le persone colpite da tale disturbo disertano cene aziendali e aperitivi tra amici, pianificano minuziosamente i pasti della settimana, pesano al grammo gli ingredienti, passando gran parte del tempo libero a pensare o a preparare il cibo, arrivando a vivere una condizione di profonda emarginazione, per non dire di alienazione.
Badate bene che in questo caso non si parla dell’amica «biologica» della moglie o del cognato salutista che all’happy hour, quando la compagnia tracanna Americano o Spritz fagocitando tartine e pizza, si accontenta di succo di pompelmo e gambi di sedano. L’ortoressico/a rifiuterebbe il succo di pompelmo in quanto impossibilitato a tracciarne la provenienza così come il sedano in quanto non certo che sia biologico.
Fermo restando che la diagnosi va condotta da personale medico, per capire se sussista il rischio ortoressia, potrebbe essere interessante condurre il « Test di Bratman », dal nome del primo medico che diagnosticò tale disturbo nel 1997, disponibile qui.
Anche i regimi e disturbi alimentari si tengono al passo coi tempi.
di Antonio Iannone