La storia di This Is Not A Sushi Bar inizia a Milano 10 anni fa. Fin dall’apertura del suo primo punto vendita, la catena di sushi Made In Italy ha dimostrato un approccio estremamente innovativo in fatto di cibo e di relazione con il cliente. Tra i primissimi nomi a portare in città la filosofia del cibo da asporto, oggi This Is Not a Sushi Bar conta 5 locali sparsi per la città nei quali si respira un’atmosfera fortemente orientata al digitale. In Italia – ad esempio – è l’unica catena di ristorazione che accetta pagamenti attraverso il numero di follower Instagram dei suoi clienti. Un modo di vivere e raccontare il cibo che parla alle generazioni più giovani, ma non solo. Un’esperienza di ristorazione fortemente legata al concetto di “Ristotainment”, uno dei trend emergenti nel 2019 nel settore food, che coniuga intrattenimento e consumazione.
Come non lasciarsi incuriosire da tutto questo? Così, per l’appuntamento di Aprile di Digital Snack ho deciso di intervistare Matteo Pittarello, Fondatore di This Is Not A Sushi Bar.
Ciao Matteo! La vostra creatura This Is Not A Sushi Bar ha compiuto 10 anni e non ha perso la sua anima non convenzionale. Quali sono i suoi punti di forza, oggi?
La forza di This Is Not a Sushi Bar è quella di mettersi in discussione continuamente. Abbiamo cambiato e innovato tanto negli ultimi anni, pur mantenendo intatto lo spirito unconventional delle origini. Ci piace interrogarci continuamente per comprendere quale siano le scelte migliori da intraprendere per rafforzare il rapporto con i nostri clienti. Questo modo di agire è un vero faro che illumina quotidianamente il nostro business.
Adattarsi al modo di comunicare di chi ci ha scelto, alle evoluzioni del mercato, all’evoluzione dei gusti e delle passioni (ormai tutti credono di essere dei veri chef ? ) è una sfida continua. Purtroppo non sempre riusciamo a cogliere i cambiamenti nel momento stesso in cui avvengono, presi dalla quotidianità, ma per fortuna sono i clienti stessi, quando ascoltati, che ci dicono cosa vogliono. E a noi dialogare con loro, ascoltarli, piace molto.
Sul sito ufficiale di This Is Not A Sushi Bar è possibile leggere la vostra Not Philosophy. Dichiarate di aver scelto una “comunicazione innovativa, dissacrante e accattivante”. Che ruolo hanno i vostri canali social in tutto questo?
I social sono un canale di comunicazione fondamentale. Essere presenti online e scegliere di comunicare in modo inclusivo, accattivante e interattivo è molto importante. Tutto ciò tiene viva la relazione con la persona più importante dell’azienda, il cliente ?.
In questo momento, noi di This Is Not A Sushi Bar stiamo sperimentando un modo di comunicare nuovo, intrapreso di rado in passato e focalizzando molto sul racconto del nostro prodotto. Ci siamo accorti, infatti, che nonostante l’attenzione maniacale alla qualità, agli ingredienti e ai processi di conservazione che ci contraddistingue, ne abbiamo parlato sempre molto – forse troppo – poco.
Per raccontare la nostra offerta, abbiamo deciso di puntare principalmente su uno storytelling di tipo visivo, orientato alle immagini. Il mondo food si presta molto a questo approccio. Per questi motivi, oggi This Is Not A Sushi Bar comunica principalmente attraverso il social network visual per eccellenza, cioè Instagram. Questa piattaforma social, infatti, è frequentata da utenti che meglio rappresentano il nostro cliente ideale, cioè quello che fotografa la sua esperienza con il cibo e la mostra al mondo, condividendola con propri follower.
Dal 2007 siete cresciuti tanto. Oggi contate a Milano 5 locali sparsi per la città dove avete portato il vostro amore per il sushi, ma anche quello per il digitale. Infatti, siete stati i primi nel mondo ad accettare il pagamento del conto grazie al numero di follower dei vostri clienti. Un pizzico di Black Mirror nella vita reale. Perché questa scelta e quali vantaggi avete riscontrato grazie a questa iniziativa?
La scelta del pagamento con i follower ha radici lontane, proprio in quella non convenzionalità che ci caratterizza fin dalle origini. La nostra attenzione a Instagram e ai / alle millennials è in primo luogo testimoniata dal layout dei nostri locali. Questo è pensato per soddisfare chi ha un comportamento “Instagram oriented”: ogni store può fungere da sfondo ideale alle foto scattate dai clienti.
In un secondo momento, abbiamo immaginato come coinvolgere in modo ancora più forte le generazioni più votate al mondo digitale. Abbiamo pensato che farsi pagare in visibilità fosse una cosa sufficientemente ironica e che poteva fare centro. In effetti è stata un’idea che ha fatto parlare di noi in mezzo mondo, non scorderemo mai l’emozione di leggere di noi sul New York Times.
Nella domanda, parli di “Black Mirror” alludendo un po’ a un futuro alienante e distopico. In realtà abbiamo notato effetti diversi: il fatto di pagare con i follower e non con le interazioni, ha rilassato l’esperienza di chi passa la serata nei nostri ristoranti. Non c’è l’ansia di rincorrere i like a tutti i costi. Chi sceglie di prendere parte a questa iniziativa, “paga” con la pubblicità verso i propri follower. Questo meccanismo ha generato una certa socialità, di cui ancora oggi si parla.
…Soprattutto online ?.
di Francesca Di Cecio