Enrico Bartolini, i segreti stellati di un ristoratore

Lo chef toscano stellato Enrico Bartolini racconta a Food Service la sua filosofia dietro i fornelli e nella gestione dei suoi ristoranti

Avrebbe voluto seguire le orme del padre, artigiano calzaturiero, magari all’estero, ma alla fine ha puntato sull’Istituto Alberghiero di Montecatini Terme, rivelando già all’esame di maturità, con una tesina sull’analisi del modello McDonald’s, che ad affascinarlo era non solo la cucina, ma anche l’organizzazione del business della ristorazione. E così l’Italia ha perso uno stilista della scarpa, ma ha guadagnato uno chef pluristellato, capace in pochi anni di creare un’attività imprenditoriale che sta scrivendo una pagina importante e originale nell’alta ristorazione italiana e non solo. 

In effetti, Enrico Bartolini, classe 1979, toscano di Castelmartini (Pistoia), ha bruciato le tappe: prima stella Michelin nel 2008 per Le Robinie in Oltrepò Pavese, seconda nel 2012 al Devero Ristorante di Cavenago, dove si era trasferito due anni prima, oltre ai tre cappelli de l’Espresso e alle tre forchette del Gambero Rosso. 

Il percorso di questo talentuoso chef (anche se lui preferisce definirsi “ristoratore”) non era che agli inizi. Colto lo slancio di Expo 2015, eccolo nel 2016 al Mudec di Milano e al Casual di Bergamo e quindi in Maremma, a Venezia e nel Monferrato. Oggi sono cinque i ristoranti firmati da Bartolini in Italia, in location molto diverse tra loro, a cui si aggiungono le attività all’estero e i servizi di catering. Sei stelle Michelin (l’ultima a fine 2018 per la Locanda del Sant’Uffizio in Piemonte) sono una responsabilità e uno stimolo: prima di chiedergli cosa significano per lui, non possiamo che partire dai maestri che lo hanno ispirato. «Ho lavorato con chef oggi collocati in diversi mercati – racconta Bartolini, che incontriamo nel bistellato ristorante del Mudec – e quello che ha dimostrato la più grande sensibilità è Massimiliano Alajmo (ristorante Le Calandre, tre stelle Michelin), che mi ha insegnato il valore della golosità dei piatti, di un prezzo che dev’essere proporzionato all’offerta e compreso dai clienti e di saper gestire i volumi che si vogliono fare: un grande rimpianto è stato di non essere abbastanza maturo, avevo 22-24 anni, da raccogliere di più dall’esperienza al suo fianco.

Ristorante Casual di Bergamo

Ho apprezzato molto Antonio Pirozzi, chef d’albergo, da cui ho imparato l’importanza di avere sempre la sala piena: non tanto di persone, ma di atmosfera e di piacere. Un’attenzione che oggi si è un po’ persa: si punta molto a esibirsi, a inseguire un’etica tutta nostra, e così si rischia di piacere meno alle persone e di non cucinare all’altezza della passione che ci si mette». Anche Bartolini non ha sempre “riempito” i suoi locali: in Oltrepò, racconta, il weekend funzionava molto bene, a conferma del fatto che il ristorante piaceva, ma la logistica era penalizzante nei giorni feriali.

LA REGOLA DELL’EQUILIBRIO

«Dal 2005 ho avuto sempre ristoranti miei: come imprenditore sono autodidatta e oggi i miei più grandi maestri sono le persone che mi stanno intorno, che mi insegnano a relazionarmi con loro e condividere obiettivi e risultati. Qui al Mudec penso allo chef Remo Capitaneo e al direttore di sala Sebastien Ferrara, senza dimenticare Monica Biella per la parte contabile».

Secondo lo chef, la tipologia di ristorazione cui dedicarsi è una questione di scelte: o si segue il mercato e si costruisce una realtà basata sui volumi, come fa il supermercato, oppure si prova a puntare sull’identità, su una proposta fondata non tanto su quello che chiede il cliente, ma sull’equilibrio tra la stagione, il luogo e soprattutto la personalità e la sensibilità del cuoco e del suo team, in modo da raccontare qualcosa di originale. «Senza dimenticare che siamo un ristorante, per cui la cucina dev’essere saporita, buona, golosa, presentata bene e servita “da dio”, in un luogo bello».

Risotto arlecchino

Quello di Bartolini è uno stile personale, che coniuga semplicità, innovazione, ricerca della qualità ed equilibrio, attraverso una creatività mai fine a sé stessa. Come un “artigiano contemporaneo”, Bartolini interpreta la tradizione con modernità e leggerezza, perseguendo in ogni piatto una perfezione estetica che esalta sapori, profumi e colori. E i conti? «Ognuno fa i suoi: è un problema che va affrontato in maniera corretta. Chi vende sottocosto non è generoso perché rinuncia al guadagno: rischia semplicemente di farsi male. Spesso sentiamo criticare i prezzi dei grandi ristoranti, ma non pensiamo che i posti più belli, in luoghi spesso molto onerosi dal punto di vista immobiliare, con le persone che ci lavorano ben pagate, pensiamo al ruolo fondamentale del personale di sala, e le attrezzature migliori, non possono costare poco».

Senza contare i costi delle materie prime: «I fornitori eccellenti, quelli che magari fanno agricoltura biodinamica senza neppure saperlo, vanno sostenuti e pagati adeguatamente, senza trattare».

Enrico Bartolini e il suo staff

VALORIZZARE SEMPRE IL TERRITORIO

«Le aperture di Milano, Bergamo e poi in Maremma e a Venezia, ci hanno messo a dura prova, ma il loro successo ci ha fatto capire qual era il segmento e il modello a cui restare fedeli».

Naturalmente questo non significa ripetere ovunque la stessa proposta: «Siamo attivi in luoghi molto diversi e il nostro obiettivo non è sfruttare, ma semmai dare valore ai territori in cui operiamo e al loro patrimonio di prodotti e peculiarità.

Ogni chef resident esprime la sua personalità e si affida a uno staff capace di trasmettere al meglio questi valori: le persone per me sono centrali. Ciò che si ripete è semmai il metodo che, deve garantire la sostenibilità di ogni iniziativa. Ciò significa disporre di uno chef e un maître bravi e autorevoli, che condividono il processo studiato insieme e ci permettono di realizzare ciò che abbiamo affinato nel tempo. Un esempio concreto: gestire 50 tavoli per noi è impossibile, la nostra dimensione è tra gli 8 e i 15».

E all’estero? «Premesso che oltreconfine siamo in società con altri partner, devo dire che all’estero la clientela si aspetta i piatti della tradizione italiana: a me piace aggiungervi sempre un tocco di modernità». 

L’ESPERIENZA DI PANDENUS

Tra le esperienze che Bartolini sta sviluppando in ambiti diversi da quello dell’alta ristorazione, spicca la collaborazione con Pandenus, una catena milanese di locali che uniscono anime diverse: bakery, bar per l’aperitivo e uno spuntino, bistrot e locanda. Pur restando convinto che un conto è il mestiere del ristoratore puro e un altro è quello di chi sviluppa format a catena, lo chef ha sposato il progetto, ideando il menu dei bistrot di via Mercato in Brera e di Gae Aulenti.

«In quel mercato siamo entrati in punta di piedi, affidandoci a Pandenus per la gestione dell’inquadramento della proposta e offrendo la nostra expertise sui contenuti, attraverso piatti golosi, etici, veloci da raccontare all’ospite: non dimentichiamoci – sottolinea con un sorriso – che in un piatto del Mudec ci sono 7-8 piatti di un bistrot». Sulla scia del successo in due location “mitiche” del capoluogo lombardo, la partnership si estenderà quest’anno ad altri locali.

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