Burgez: hamburger senza compromessi

Burgez, fast food di qualità a Milano, dopo aver inaugurato 5 locali sta per aprirne altri 3. Qual è il segreto dell'hamburger più anticonvenzionale del panorama milanese?

Burgez a Milano è sinonimo di hamburger saporito e di una giusta dose di ribellione. I suoi locali – ormai 5 sparsi per la città, con 3 nuove aperture in arrivo – sono rifugio perfetto per iniziare una serata con il ritmo giusto. 

Qual è il suo segreto? Probabilmente il non avere segreti. Burgez va dritto al punto, in modo deciso, dal menu alla comunicazione online. Ho parlato di questo e di molto altro con Simone Ciaruffoli, Founder & CEO di Burgez che, proprio come la sua creatura imprenditoriale, non ama i giri di parole. Grazie a lui, ho scoperto diverse cose interessanti sul mondo della ristorazione. Quella che mi è rimasta più in mente è che accettare compromessi non paga mai.

Ciao Simone! L’idea di Burgez nasce da “una strana storia”, come si legge sul vostro sito web. Una storia di riscatto che inizia in America e che oggi ha portato ad aprire 5 punti vendita a Milano, più tre locali nuovi in arrivo. Qual è il vostro segreto? Tranquillo, non lo dico a nessuno ?

Ciao cara Francesca. Direi che il nostro segreto sta nel copiare e se è possibile migliorare l’esistente.

Sai penso che oggi, a parte nel settore del digitale, non ci sia più spazio per inventarsi nulla. Dunque credo che la killer application del mondo della ristorazione, la novità, sia migliorare ciò che c’è già. Puoi innovare la pizza? No, ma puoi farla più buona. Puoi innovare un maritozzo con la panna? No, puoi farlo più buono. Puoi innovare una cucina di pesce? No, ma puoi farla meglio. Tieni conto poi che non sono per la gourmettizzazione del cibo, per me non significa nulla se non un’idea di marketing anche poco intelligente. In Italia, soprattutto a Milano, si procede per format, format innovativi, poiché è la strada più corta per mettere in piedi un’attività e far parlare di sé, ma la qualità per cui eravamo conosciuti in tutto il mondo dov’è? Dov’è il cibo? Si procede come nell’arte contemporanea, si sperimenta in continuazione come se un branzino fosse al pari dell’orinatoio di Duchamp, ma la cucina, per meglio dire il palato e i sensi, accettano la sperimentazione fino ad un certo punto, al di là del quale non c’è più gusto ma solo performance. Per questo ritengo che in questo momento Milano sia la città in cui si mangi peggio. La vera cucina risiede nelle province italiane. A parte questo, Milano rimane comunque la città italiana in cui ha più senso aprire un’attività ristorativa, vuoi per la concorrenza spietata (che ritengo positiva), vuoi per il suo recente protagonismo sempre più accentuato in Europa. Dunque sì, per riassumere, il nostro segreto è stato prendere l’hamburger più buono per cercare di migliorarlo, introducendo così a Milano una novità.

Burgez comunica sui social utilizzando un tono di voce fuori dagli schemi, a volte quasi dissacrante. In che modo questa scelta di comunicazione rispecchia l’anima del vostro prodotto?

Per capirci: non c’è nessuna affinità tra prodotto e brand come non c’è nessuna affinità tra Tom Cruise e Ethan Hunt di “Mission: Impossible”. La prima è realtà, l’hamburger (o la persona Tom Cruise), la seconda è il modo di comunicare, pura finzione, la quale non necessariamente deve avere a che fare con la realtà. Burgez non comunica quindi un valore di marca, piuttosto un’idea di contemporaneità dentro la quale la marca si posiziona suo malgrado. La comunicazione di Burgez rispecchia un adolescente nerd brufoloso antipatico che con il suo computer nella sua cameretta lancia bombe in modalità contemporanea. Per meglio dire, Burgez comunica un disvalore di marca. Ovviamente dietro al ragazzino brufoloso c’è un’azienda con i suoi professionisti e le responsabilità che ne conseguono. Se il ragazzino sbaglia, sbaglia un’azienda intera. Insomma non è semplice fare ciò che facciamo.

“Try not to come back if you can”: questo è il payoff di Burgez. Una sfida e allo stesso tempo un invito ai consumatori, offline e online. Che rapporto avete con i vostri follower e che ruolo ha (e ha avuto) il digitale nel percorso di sviluppo del brand?

Hai detto benissimo: offline e online. Da quando esiste internet non esiste più solo il cliente del ristorante, ma anche l’utente. Il cliente si configura sempre quando è all’interno di un locale, ma appena esce, diventa un utente. Un utente nascosto dietro a una tastiera (come il brufoloso di cui sopra), un utente che può farti del bene ma anche del male. Dunque il cliente nei nostri store è un cliente nell’accezione classica e ci teniamo a far bella figura, ma nel mondo della rete per noi non esistono più clienti, solo utenti, potenzialmente tutti brufolosi fino a prova contraria. Se ci tratti male perché hai mangiato male e dunque pensi di poter offendere in maniera brufolosa e malmostosa, quel nerd antipatico sempre di cui sopra, ti risponderà per le rime, senza sconti. Il ricatto antico per cui “trattami bene o non torno più da te”, non ha più senso di esistere. Se non vuoi tornare non tornare più. Il ricatto morale implicito che sempre è esistito tra cliente e ristoratore è roba medievale. Per questo in passato il nostro staff vestiva delle maglie con scritto “Il cliente a sempre ragione”, una frase grammaticalmente sbagliata per sottintendere che il concetto stesso della frase è sbagliato: il cliente non ha sempre ragione.

Ma siccome sappiamo che questo ricatto non verrà mai debellato, Burgez si è dotato di quel ragazzino impertinente nascosto nella sua cameretta disordinata e sporca, piena di cartacce, resti di un cibo unto, consumato tra un post al cianuro e uno al curaro, ovviamente cibo delle cucine di Burgez. Ah dimenticavo Francesca, anche questa intervista è finzione, non è vero niente. È tutta una bugia.

di Francesca Di Cecio





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