Irpef, Irap, Ires, Tari, Tasi sono solo alcune sigle delle tasse che gravano sull’attività delle imprese della ristorazione. Una pressione fiscale, quella italiana, che non solo è tra le più alte in Europa, ma che negli ultimi anni ha continuato a crescere. Secondo Fipe-Confcommercio, al netto dell’elevata frazione di sommerso economico, la pressione fiscale raggiunge la percentuale record di oltre il 53% sui ricavi dell’impresa. E a questo bisogna aggiungere la frammentazione di oneri e tributi.
Una situazione che sta diventando insostenibile per le imprese del fuori casa. L’inchiesta di Foodservice si è concentrata sul punto di vista di alcuni protagonisti del fuori casa.
QUANDO L’UTILE È UNA CHIMERA
La pressione fiscale e la complessità normativa sono due fattori che penalizzano pesantemente l’attività imprenditoriale, impedendo spesso alle imprese della ristorazione di avere un utile da reinvestire. Un problema che coinvolge sia i pubblici esercizi indipendenti sia le catene, che hanno un’organizzazione più strutturata.
Parliamo di una pressione fiscale che colpisce tutti gli ambiti dell’attività, a cui si aggiunge l’estrema polverizzazione dei tributi, che rende ancor più difficile l’operatività delle imprese. E per le catene, che hanno più addetti, c’è il costo del lavoro a rendere la situazione ancor più complessa.
ALDO CURSANO: UN MODELLO ECONOMICO FALLITO
“Trenta fonti di costo: così si distruggono le imprese”. Non va per il sottile Aldo Cursano, vice presidente Fipe e Presidente di Confcommercio Firenze, nonché imprenditore dell’ospitalità, con alcuni locali a Firenze e dintorni, che lancia un atto di accusa alle istituzioni: “Per i pubblici esercizi, ormai, a causa delle numerose imposte le spese superano le entrate. Inoltre, il modello di ospitalità italiana, che punta sulla qualità, sullo stile, sulla cultura gastronomica storica, è in chiara difficoltà”.
Ma qual è la prima cosa che Cursano chiederebbe alle istituzioni? “Attuare una premialità fiscale e contributiva per le imprese che sono ambasciatrici del modello di ospitalità italiano. Si tratta di valorizzare questo modello, che è fatto da persone che nei loro bar e ristoranti promuovono l’agroalimentare made in Italy. Sarebbe un primo passo per rilanciare l’economia”.
ENRICO BARTOLINI: LE TASSE, QUANDO VA BENE, TI DIMEZZANO L’UTILE
Quanto incide la spesa fiscale sul conto economico di uno chef imprenditore del calibro di Enrico Bartolini, fresco di terza stella Michelin per il ristorante che porta la sua firma al Mudec di Milano? “Il delta di marginalità che si ottiene in un’attività come la nostra – osserva – non è molto elevato: è necessario tenere sotto controllo tutti i costi e soprattutto monitorare i ricavi per ottenere dei margini sostenibili. In tema di spese fiscali, l’importo, che è sempre poco digeribile per un imprenditore nel mondo della ristorazione, è dato dalle tasse che vanno a dimezzarti (quando va bene) o annullarti l’utile. L’importo degli acconti per l’anno successivo, equivalenti alle tasse pagate per l’anno precedente, è un disagio per la liquidità di una società come la mia”.
Quando gli chiediamo come si potrebbe intervenire per alleggerire la pressione fiscale, Bartolini insiste sul fatto che gli acconti sulle tasse, calcolati sull’imponibile dell’anno precedente, “non sono correttamente esigibili per un’attività che potrebbe avere un andamento altalenante durante l’anno o addirittura subire variazioni sul fatturato molto consistenti”.
IVAN TOTARO (HAMERICA’S): BUROCRAZIA E INCERTEZZA, DUE MALI OSCURI
Ivan Totaro, terza generazione di una famiglia di ristoratori, è co-fondatore di Hamerica’s, una catena di 14 ristoranti che propongono alcuni must della classica cucina americana, con un focus ovviamente sulla carne. “Devo premettere che, visti i costanti reinvestimenti, la fiscalità per noi non è ancora un problema concreto. Tuttavia, guardando ai molti anni trascorsi nel settore della ristorazione, posso dire che i problemi non mancano”. Nell’esperienza dell’imprenditore milanese, i più importanti hanno nomi precisi: burocrazia e incertezza. Due mali oscuri che frenano l’economia in molti ambiti e si concretizzano non solo in complessità, ma anche in regole non chiare, che finiscono spesso con il disorientare il contribuente. “Da un lato si rischia di perdersi, e mi è capitato spesso, nelle maglie di una struttura abnorme, che ti può far rimbalzare da un ufficio all’altro anche per il semplice pagamento di un’ammenda. Dall’altro c’è la moltiplicazione degli adempimenti per la stessa imposta, che genera un lavoro oneroso in termini di tempo e persone”. Già, perché se si gestisce una catena con più punti vendita dislocati in città diverse, si deve fare i conti con regole e procedure sempre diverse: “Basti pensare alla tassa sui rifiuti, alla regolamentazione dell’impatto acustico ambientale o alla questione delle insegne, che da mesi un collaboratore sta cercando di sistemare”.
Come porre rimedio a questa situazione che sembra, a prima vista, irrisolvibile? “Credo che gli imprenditori abbiano bisogno innanzitutto di certezze: un auspicio che l’alternanza dei governi indubbiamente non contribuisce a concretizzare. Alleggerire la burocrazia è un’altra strada obbligata per agevolare il nostro lavoro quotidiano”.
MARCELLO RIZZA (QUORE ITALIANO): ABBASSIAMO IL GETTITO FISCALE SUL COSTO DEL LAVORO
Alcuni lo hanno definito “il Panino Giusto di pasta e pizza”. Quore Italiano, infatti, punta proprio su questi due tradizionali prodotti italiani, proposti nei quattro locali situati in alcune delle zone più “in” di Milano: corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi, piazza XXIV maggio e piazza Oberdan.
Al timone dell’insegna ci sono due giovani imprenditori, Marcello Rizza e Giuseppe Beani. È proprio Rizza che sottolinea i tributi che pesano maggiormente sull’attività: “Il problema maggiore è rappresentato dall’incidenza del costo del personale e da imposte quali Tari, Irap e Ires”. Per Rizza, che deve affrontare anche il problema degli alti affitti degli immobili del centro di Milano, sarebbe necessario “un abbassamento del gettito fiscale, principalmente sul costo del lavoro. Questo è l’aspetto più dolente che dobbiamo affrontare come imprenditori”.