Se bastasse infilare questa crisi da Coronavirus tra due fette di pane per riuscire finalmente a digerirla Alessandro Frassica sarebbe il primo a cui domandare come fare. Il patron di ‘Ino, la fortunata bottega a due passi dal Ponte Vecchio che a Firenze è diventata sinonimo di “panino”, ha in ogni caso la sua lista di ingredienti per superare l’emergenza: ottimismo e fiducia dei clienti. Per tenerle vive ha aderito, come molti, a iniziative nate negli Usa: i restauranti bond, buoni “paghi oggi e mangi domani”. La sua si chiama ‘Ino Bond: sandwich scontati che i clienti potranno gustare quando il locale riaprirà. Un modo anche per fronteggiare la mancanza di liquidità che sta mettendo in ginocchio tante attività.
Gli “Ino bond” possono rappresentare una soluzione almeno per passare questo periodo di inattività?
Più che una vera soluzione è un messaggio: c’è da tutelare un patrimonio che non è solo commerciale ma anche culturale. E che è fatto di persone, ingredienti e territorio. Alla fine chi continuerà a investire sulle persone e sui rapporti personali farà la differenza. L’iniziativa ha generato molti consensi, tra i clienti, sui media, tra i colleghi. Indipendentemente dal fatto che raccogliamo dieci, cento o mille bond. E alla fine penso che sia questa la cosa più importante in questo momento.
Come stanno reagendo gli esercenti a questa emergenza a cui nessuno era preparato?
Più passa il tempo più si prende consapevolezza di cosa stia succedendo davvero. Può sembrare retorica ma di fatto le uniche due cose possibili da fare sono reagire e mantenere la calma. Certo è difficile perché l’attività è chiusa ma rimangono i costi da sostenere e gli impegni presi da onorare. Ma soprattuto rimane la grande domanda: la riapertura quando avverrà e soprattutto come avverrà?
Qual è la sua idea?
Gli aiuti che dovranno arrivare dallo Stato, perché devono arrivare, non possono essere considerati la soluzione. Servono liquidità e fidelizzazione. Serve ricordare che si sta cercando di tenere in piedi non il singolo locale ma un’intera filiera. I fornai, i piccoli produttori di materie prime che utilizziamo per i nostri panini, quel prosciutto, quel salame, quel carciofo… se ognuno fa la propria parte allora è possibile pensare di traghettare la propria attività oltre questo momento di difficoltà.
Secondo lei le attività di ristorazione dovranno potenziare altri canali o dedicarsi ad altri modelli di business? Se sì quali? Potenziare il delivery, lavorare sulle ordinazioni…
Se pensiamo al delivery bisogna fare dei distinguo. In attività come la nostra rappresenta una soluzione contingente, che può andare bene giusto in questo momento di clausura, e che comunque abbiamo scelto di non adottare perché non desidero esporre il personale a rischi inutili e non fa parte del nostro posizionamento. Parliamoci chiaro: la gente ora a casa ha bisogno che le portino altre cose, non il mio panino. Se guardo oltre il Coronavirus allora preferisco investire sul futuro e non su modelli che funzionano ma che sono solo la risposta all’emergenza.
Come si immagina allora il futuro dopo il Covid-19?
Io sul futuro sono sempre ottimista. Sono d’accordo con una riapertura a scaglioni, che si riparta gradualmente, ma sono anche convinto che non ci sarà vita di clausura e la gente avrà voglia di tornare ad assaporare l’esperienza e l’atmosfera a 360 gradi che un ristorante può offrire.
Insomma vede più una evoluzione che una rivoluzione nella ristorazione dopo questa crisi?
Sì. Non ci saranno stravolgimenti ma ci saranno e ci dovranno essere dei cambiamenti. Un passaggio come quello che stiamo vivendo certamente i segni li lascia. Sia a livello personale che a livello professionale. Cambieranno le priorità, ci dovrà essere un nuovo approccio agli acquisti e ai prezzi perché ci sarà più attenzione alla spesa da parte della clientela. Ma noi di ‘Ino abbiamo una filosofia non cambieremo: l’attenzione al food cost va bene ma non intendo svilire il valore di quello che sto offrendo, semmai comunicarlo sempre meglio.
In tanti però hanno già chiuso l’attività, altri hanno licenziato i dipendenti e c’è chi non sa se riuscirà a riaprire. I costi fissi sono un’enorme problema… Come si fronteggia?
Certamente bisognerà adeguare gli affitti e i costi del personale alla nuova realtà. Poi servirà iniziativa. Nel nostro caso potremmo considerare di aprire anche alla sera. O anche dedicarci ad attività nuove, ad esempio corsi, eventi, workshop, dirette con le preparazioni. Abbiamo tanti clienti in Usa ad esempio e che a loro si potrebbe raccontare come si comincia la ripresa anche perché non è certo se, come e quando ripartirà il turismo.
Non tutti però ce la faranno a superare questa prova…
Dovrà avvenire una selezione naturale. Speriamo solo che sia meritocratica.
di Matteo Dario Forlì