La ristorazione organizzata sta correndo ai ripari. Da una parte, sta adottando tutti gli ammortizzatori sociali per i dipendenti e gli strumenti per l’alleggerimento dei costi, dall’altra, sta cercando nuovi driver per cercare di avere entrate economiche alternative alla classica somministrazione, come, per esempio, delivery, e-commerce e dark kitchen. Ma si guarda anche al futuro post pandemia, analizzando i possibili cambiamenti e pensando già a come affrontare il mercato dopo la fine dell’emergenza.
BERBERÈ, SOLIDARIETÀ E… QUALCHE NOVITÀ
Berberè ha deciso di chiudere tutti i ristoranti ancora prima delle misure stabilite del governo. «Nonostante per noi sia stato un salto nel buio – afferma Salvatore Aloe, cofondatore della catena con il fratello Matteo – ci è parsa la cosa più ragionevole e responsabile da fare. Abbiamo quindi invitato tutti i nostri dipendenti ed i nostri clienti a stare a casa nella speranza che l’emergenza durasse, anche grazie a questi gesti collettivi, il meno possibile».
L’obiettivo è resistere più tempo possibile senza incassi. «Stiamo raccogliendo tanta solidarietà ed aiuto dai fornitori e da tutta la squadra allargata di Berberè costruita in questi 10 anni. Contiamo sul sostegno dei nostri clienti, su una rinnovata rete di solidarietà con i nostri colleghi e sul desiderio delle persone di tornare a condividere la socialità intorno alla tavola. Nel frattempo stiamo pensando a qualche novità, di cui non anticipiamo nulla perché ancora in cantiere».
CIOCCOLATITALIANI, LA RIPRESA? A MEDIO-LUNGO TERMINE
«La nostra attività è ferma, a parte un punto vendita di Milano che sta svolgendo la consegna a domicilio». Questa la situazione di Cioccolatitaliani nelle parole di Vincenzo Ferrieri, che insieme al padre Giovanni ha fondato l’insegna della ristorazione che oggi comprende 35 locali, a gestione diretta e in franchising, in Italia e all’estero. I Ferrieri sono al timone anche della catena di pizzerie Pie (Pizzeria italiana espresso), al momento presente solo in Italia. «Dopo il decreto dell’8 marzo, abbiamo effettuato lo scarico delle ferie dei dipendenti e utilizzato gli strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa forniti dal Fondo di integrazione salariale – spiega Ferrieri –. La nostra attività è bloccata anche all’estero, dove tutti i nostri locali in Qatar, Kuwait, Arabia Saudita e Albania sono stati chiusi».
Per il futuro Ferrieri è abbastanza ottimista: «Credo che lo scenario del fuori casa presenterà due realtà diverse: da una parte, i format situati in città turistiche, quindi con una clientela prevalentemente estera, che saranno in sofferenza, a causa del calo dei flussi turistici; dall’altra, i format legati alla clientela locale, la cui attività ripartirà più rapidamente. Nel complesso, comunque, credo che il fuori casa a medio-lungo termine si risolleverà, grazie anche al servizio di delivery, che diventerà sempre più rilevante. Per quanto riguarda Cioccolatitaliani, in termini di offerta e proposizione di valore non cambieremo strategia. Sullo sviluppo, specialmente per quello internazionale, è chiaro che sarà importante vedere quanto durerà ancora la crisi a livello globale».
LA CAVEJA, FORTI RIPERCUSSIONI SU TUTTA LA FILIERA
«Inizialmente avevamo pensato di dirottare tutto sul delivery – ci dice Andrea Quarti, Coo di La Caveja, catena di piadinerie in franchising – ma poi, per tutelare la salute dei nostri dipendenti abbiamo deciso di chiudere del tutto i nostri negozi diretti, considerando che alcune consegne venivano effettuate dallo staff. Alcuni punti nei centri commerciali, che comunque avevano iniziato a non fatturare più nulla, hanno chiuso per primi per decisione della direzione dei diversi centri. Ai punti in franchising è stata lasciata piena libertà di scelta e sei dei nostri affiliati hanno deciso di continuare a operare solo in delivery».
Il pensiero di Quarti sullo scenario futuro è lo stesso di tanti suoi colleghi del mondo della ristorazione. «Prima di capire come sarà bisogna anzitutto immaginare quando sarà. È innegabile che questa crisi avrà un impatto importante tanto sui locali quanto sulla filiera. I locali e i ristoranti che andavano già male, così come quelli situati in località a forte vocazione turistica saranno i più penalizzati, considerando che il picco stagionale inizierebbe proprio ora. C’è poi da considerare come i problemi dei fornitori si ripercuoteranno inevitabilmente lungo tutta la filiera».
POKE HOUSE, I LOCALI DI RISTORAZIONE DIVENTANO DARK KITCHEN
Ecco la riflessione di Matteo Pichi, Co-fondatore e ad di Poke House: «Nelle ultime settimane abbiamo dovuto cambiare radicalmente il nostro stile di vita. Abbiamo comunque cercato di continuare a fare quello che ci riesce meglio: innovarci restando fedeli a noi stessi, per essere virtualmente vicini ai milanesi anche in questo momento così delicato. Da qui l’idea di rendere i nostri locali delle vere e proprie dark kitchen, grazie al supporto fondamentale delle nostre risorse, che lavorano in totale sicurezza. Questa scelta ci ha permesso di ottimizzare sempre di più la produzione puntando esclusivamente sul food delivery, senza ridurre numericamente il nostro staff ed evitando il ricorso agli ammortizzatori sociali. Crediamo che la chiave del successo passato e futuro di Poke House siano proprio le persone che ne fanno parte e, ieri come oggi, abbiamo deciso di puntare su di loro».
SIGNORVINO PENSA A DELIVERY ED E-COMMERCE
Ancor prima dei severi provvedimenti del governo, Signorvino e le altre insegne della ristorazione del gruppo Calzedonia sono state tra le prime catene a chiudere i loro punti vendita non solo in Italia. Spiega il brand manager Luca Pizzighella: «Abbiamo fermato anche i cantieri per le cinque aperture in programma (due a Roma e Milano, uno a Parma). Ovviamente stiamo sfruttando ferie e smart working per le attività di ufficio, mentre aspettiamo provvedimenti operativi del governo per accedere eventualmente alla cassa integrazione. Al di là di questo, la cosa più bella è che siamo in costante contatto con tutti i ragazzi, che ci stanno dimostrando un grande attaccamento al brand e ai valori aziendali». Così, per non “sprecare” questo tempo sospeso, ferve l’attività online: per esempio, i wine specialist tengono corsi di aggiornamento anche per i cuochi o i camerieri neo assunti, con il supporto dei formatori della catena.
«Quando è scoppiata la crisi coronavirus – aggiunge Pizzighella – stavamo lavorando sull’implementazione del delivery: era tutto pronto per un test ad aprile a Milano. L’e-commerce invece arriverà a luglio, ma sarà sempre legato all’esperienza in store. Non lo vediamo solo come un ampliamento del business, ma come una ‘chiusura del cerchio’ del servizio che consentirà al cliente di migliorare ancora la sua esperienza mantenendolo legato al negozio».
SPONTINI: LO SVILUPPO È SOLO RALLENTATO
L’emergenza Covid-19 ha inciso sui programmi della celebre insegna milanese della pizza, che ha sospeso fino al 30 settembre le aperture già in calendario a Lingotto Torino, Segrate e Paderno Dugnano. Senza contare il punto di domanda sulle due aperture di Dubai, previste per l’estate in vista dell’Expo 2020. Entro fine anno l’insegna della ristorazione aprirà anche a Seoul. «Abbiamo seguito pedissequamente le misure che ci venivano comunicate di volta in volta dagli organismi competente – racconta Massimo Innocenti, ad di Spontini Holding, che nel 2019 ha fatturato 27 milioni di euro in linea con l’anno precedente – fino all’inevitabile chiusura di tutti i negozi. Proveremo a lasciare qualche negozio aperto solo per il servizio di delivery in totale sicurezza per tutti i dipendenti. Per gli operatori impegnati sul campo stiamo pensando di mettere in campo delle azioni pratiche ma molto utili, come regalare la pizza. Inoltre, con l’Unione dei Brand della ristorazione Italiana, abbiamo partecipato alla raccolta fondi per l’Anpas e la Croce Rossa».
Per il rilancio, l’obiettivo è puntare sempre sulla pizza, «un prodotto così amato che i nostri clienti ce lo richiedono anche nel periodo del lockdown». E la ripresa? «Crediamo che avverrà a singhiozzo: ci dobbiamo calibrare su tempi medio-lunghi».
QUORE ITALIANO: IL RILANCIO DEVE PARTIRE DALLA SOCIALITÀ
Quattro locali situati nelle zone più strategiche di Milano: corso Garibaldi, corso Vittorio Emanuele, piazza XXIV Maggio e piazza Oberdan, dove l’affitto degli immobili è alquanto elevato. È questo il primo problema per Marcello Rizza, titolare dell’insegna di ristorazione Quore Italiano. «In questo momento i nostri locali sono chiusi e non svolgiamo neanche l’attività di delivery, perché non conviene dal punto di vista economico: tenere aperto un locale e la relativa cucina per poche richieste, perché è questa la realtà, non vale la pena. Gli 80 dipendenti di Quore Italiano sono al momento in ferie e, successivamente, penseremo agli strumenti e alle misure da adottare. Piuttosto, il primo grande problema è il pagamento degli affitti, che per i quattro locali significa complessivamente un milione di euro. Questo è un aspetto che andrebbe chiarito in termini di aiuti e agevolazioni per noi imprenditori».
Per quanto riguarda il dopo crisi Rizza ha le idee abbastanza chiare: «In prima battuta gli italiani avranno una gran voglia uscire di casa per il pranzo, l’aperitivo, la cena e il dopo cena. Sto già pensando allo sviluppo di menu particolari, come, per esempio, la pizza condivisa o altri piatti, sempre in condivisione, in modo da esaltare la convivialità. Dobbiamo renderci conto che per molto tempo i nostri clienti saranno quasi esclusivamente italiani, per cui sarà necessario trovare le giuste leve per farli divertire e fornire momenti di socialità».