Ampliare l’offerta oppure no? Il dilemma dei grossisti bevande

Tra le varie opzioni sul tappeto per rilanciare i fatturati c’è l’ampliamento, in senso orizzontale o verticale, degli assortimenti. Una scelta, però, che non sembra avere molto appeal
Ampliare l’offerta oppure no? Il dilemma dei grossisti bevande

Il lockdown del fuori casa ha determinato un forte calo dei fatturati dei distributori bevande. La riapertura di bar e ristoranti, peraltro non totale, visto che sono molti i pubblici esercizi ancora chiusi, ha portato una boccata d’ossigeno. Ma la situazione rimane difficile, in particolare a livello finanziario. Per rilanciare i fatturati, i grossisti bevande, già durante i mesi di chiusura, tra marzo e maggio, hanno cercato di compensare le perdite puntando su nuove categorie di clienti. A cominciare dai privati tornando, quindi, alle origini della professione, quando erano proprio le consegne domestiche il core business dell’attività.

Ma c’è un’altra possibile “strada” per far crescere i fatturati: l’ampliamento degli assortimenti, in senso orizzontale o verticale. In realtà, questa è una strategia che molti distributori hanno iniziato ad attuare da qualche anno. C’è però da capire se, in questo particolare momento economico e di mercato, vale la pena attuare questo tipo di scelta. Vediamo allora cosa ne pensano gli operatori del settore.

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GESTIRE AL MEGLIO IL PORTAFOGLIO PRODOTTI

«La nostra strategia è sempre stata quella di ampliare gradualmente l’offerta, ma oggi è più opportuno e razionale gestire l’assortimento attuale». Massimo Sirdone, Direttore di ADAT, consorzio composto da 43 soci che svolgono la loro attività nel Centro Italia, ovvero in Toscana, Umbria, Romagna, Marche e nel Lazio, sottolinea immediatamente quale è stata la scelta strategica. «Abbiamo bloccato la possibilità di inserire nuove referenze perché crediamo sia necessario puntare sui volumi di vendita de i prodotti più consolidati e rimandare al 2021 il lancio di nuovi item, quando i clienti dell’Horeca saranno più pronti».
ADAT, che ha nelle acque minerali (40% del fatturato) e nelle birre (circa 35%) il proprio core business, punta maggiormente, come afferma Sirdone, «su un’attività di co-marketing e marketing più intensa. Questa è una leva che utilizzeremo certamente».

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Massimo Sirdone, Direttore di ADAT

Anche Vargros, società di distribuzione milanese specializzata negli spirits, che ha come clienti i migliori cocktail bar d’Italia e anche alcuni grossisti di bevande, ha deciso di rimanere in stand by. «Durante il lockdown abbiamo pensato, inizialmente, di ampliare in senso verticale il nostro assortimento, aggiungendo i prodotti per l’igiene e le mascherine, ma poi abbiamo desistito – spiega Federico Varesi, terza generazione della famiglia proprietaria della società –. La scelta è quindi caduta su una valorizzazione del nostro attuale portafoglio prodotti, mantenendo la nostra connotazione aziendale. Se faremo qualche inserimento, questo sarà attivato solo dal prossimo autunno».

Paolo Marelli, Direttore del Consorzio ADB Group, che riunisce 71 imprese di distribuzione bevande del Nord Italia e Toscana, sottolinea come l’ampliamento o meno dell’offerta dipenda dalle tempistiche della scoperta e dell’introduzione del vaccino: «Se l’attesa di una soluzione farmacologica affidabile dovesse protrarsi oltre i 18 mesi, verrà del tutto naturale per il grossista individuare nuovi ambiti operativi per fronteggiare il calo del fatturato – spiega Marelli –. Mi riferisco, in particolare, a un ampliamento del comparto dei servizi logistici con riferimento alle consegne domiciliari e alle attività annesse. Ma penso anche all’ampliamento delle famiglie di prodotti, con importanti aperture assortimentali nel food e negli sweets, ma anche nel comparto dei dispositivi necessari per prevenire il contagio. Se l’arrivo del farmaco dovesse bruciare le tappe, invece, gli investimenti per l’ampliamento descritto sopra potrebbero essere ritenuti inopportuni o affrontati con criterio di temporaneità, prevedendo un progressivo avvicinamento dei volumi Horeca a quelli pre Covid-19».

Dal Nord ci spostiamo al Sud Italia. Di.Al è un consorzio campano che riunisce 96 società di grossisti bevande, con 30mila punti vendita serviti. Secondo Alessandro Capuano, Responsabile Data Warehouse/Sell Out di Di.Al, il lockdown ha fatto emergere una realtà fino a ora rimasta in ombra: «In futuro non vedremo più grandi ordini di prodotti e magazzini pieni di merce. Il motivo? Il problema del credito, con i mancati pagamenti ai distributori, che, oltretutto si sono ritrovati i magazzini pieni di merce rimasta invenduta. Questi due aspetti fondamentali, credito e magazzino, appunto, modificheranno le strategie commerciali dei distributori».

Alessandro Capuano, Responsabile Data Warehouse/Sell Out di Di.Al

Per Prinz, società fiorentina di distribuzione al canale Horeca, il beverage, in primis birra (in fusti e in bottiglia), vini e spirits, rappresenta il core business, ma nella sua offerta c’è spazio anche per il food e il non food. Durante il lockdown, l’azienda, guidata da Francesco Corsi, che ricopre la carica di amministratore unico, è stata la prima tra i distributori beverage a fare la consegna a domicilio. «Con la chiusura dei pubblici esercizi, abbiamo pensato a un nuovo servizio per le persone costrette a restare a casa e questo ha rappresentato un’alternativa alla nostra classica attività di consegna a bar e ristoranti – spiega Corsi –. Dopo la fine del lockdown, molti punti di consumo hanno riaperto, anche se il centro storico di Firenze, a causa dell’assenza di turisti stranieri, è in grande difficoltà».

Per quanto riguarda l’ampliamento o meno dell’offerta da parte dei grossisti bevande, Corsi sottolinea che «non è il momento di aumentare il numero di prodotti. Vogliamo, invece, consolidare le nostre referenze storiche, sia del beverage sia del food, attuando anche una riqualificazione degli assortimenti, ovvero togliendo alcuni prodotti e sostituendoli con altri più performanti».

Francesco Corsi, amministratore unico di Prinz

Bevi Bene, società di Romentino (No), conferma la sua vocazione al beverage, evitando ampliamenti verticali verso altre tipologie di prodotti. «Siamo dei distributori di bevande ed è questo il lavoro che sappiamo fare meglio – spiega Warner Guidotti, titolare di Bevi Bene –. Birre, spirits, vini e acque minerali sono i segmenti merceologici più importanti per noi. Se parliamo di ampliamento dell’offerta, questa strategia la stiamo attuando da tempo, inserendo periodicamente referenze particolari, anche provenienti dall’estero».

Durante il lockdown, l’attività distributiva di Bevi Bene si è spostata verso il “porta a porta”. «Il servizio ai privati ha compensato le perdite derivanti dalla mancata vendita a bar e ristoranti – sottolinea Guidotti –. Abbiamo creato dei “pacchetti” promozionali per le famiglie, consegnando cartoni misti, composti, per esempio, da tè freddo, succhi di frutta e bibite. Proseguiremo questa strategia anche in futuro».

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