Ancora qualche mese e Filippo La Mantia lascerà il suo locale in piazza Risorgimento. Ultimo giorno il 31 dicembre. Milano perderà uno dei suoi locali più glamour, temporaneamente. Perché l’oste cuoco riaprirà, sempre a Milano, sempre con la stessa offerta solo in una location ridotta. Più consona al new normal, che ha tratti ben diversi dalla Milano in fase up in cui è stato aperto il locale.
28mila euro di affitto mensili, tanti dipendenti in una Milano svuotata dai turisti e, soprattutto, priva dei suoi eventi e fiere, dei proficui e numerosi pranzi e cene aziendali, sono alcune tra le ragioni che hanno spinto La Mantia alla dolorosa scelta, nonostante il locale funzioni, ma le entrate non siano sufficienti a coprire le spese. Con la disponibilità di sempre, ha risposto alla nostra telefonata.
Filippo, da 1 a 10, quanto è stato difficile prendere la decisione?
Se devo pensare al cuore 11 perché questo era il posto che ho sempre sognato, dove ho messo tutto sia fisicamente che economicamente. Però oggi, a 60 anni, mi rendo conto che è successo qualcosa che è al di sopra di noi e bisogna avere il coraggio di cambiare, quello che era era, quello che sarà lo vedremo.
Sei un po’ un filosofo vero?
Sì, così mi definisco gli amici. Il mio motto è “Ogni giorno è il primo giorno”. “Ridursi” è il mio modo di leggere il tempo in cui siamo, fare un progetto in linea con i tempi, ma mai fermarsi. Anche se le cose cambieranno, ne usciremo tutti con le ossa rotte.
Mai più come prima, quindi?
Non potremo più parlare al singolare, ma solo al plurale: ognuno di noi dipende da chi gli sta accanto. La mia vita dipende dal comportamento, più o meno volontario, consapevole e intenzionale di chi mi sta accanto.
Abbiamo sbagliato qualcosa?
Non so se abbiamo sbagliato. Sono certo però che negli ultimi anni siamo stati travolti da ritmi di lavori frenetici per creare benessere e cercare di produrre bene a più non posso, non ci siamo mai fermati a riflettere. Solo quando sei costretto a fermarti ti rendi conto che hai esagerato. Oggi non c’è più controllo, si è perso il valore dell’educazione, tutto è eccessivo.
Non hai pensato di ricominciare in una città di provincia?
Se avessi 25 anni non avrei alcun timore a ricominciare da un’altra parte. La location per me è relativa, i miei clienti mi hanno seguito ovunque fossi. Ma la mia famiglia è a Milano e qui devo e voglio ripartire.
Ti aspettavi un maggiore aiuto dalle istituzioni?
Io non posso pretendere che ci sia qualcuno che mi dia denaro perché possa continuare a lavorare. Tutti hanno bisogno, dall’industriale all’artigiano, dal mondo dello spettacolo al pensionato: mia madre ha 82 anni e una pensione da 700 euro… e poi, senti, io non sono un vero imprenditore. Non a caso ho nominato un amministratore. Sono un animale da combattimento, che vive di istinto allo stato puro.
E ora bisogna combattere davvero… per quale futuro della ristorazione. Delivery, asporto, dark kitchen…
Io stesso ho fatto il delivery, consegnando anche personalmente ai clienti. Ma delivery e asporto non possono essere il futuro della ristorazione, non ci sono i margini, possono solo essere di complemento e assistenza verso i clienti. Non so se e quando si tornerà a prima del lockdown, ma la gente ha voglia di uscire. Certo con le dovute precauzioni. Da due mesi ho il locale blindato, mascherine, guanti, un’impresa che viene a pulire il locale due volte al giorno, il brunch vietato, e poi viene agosto e liberi tutti… E di questo ne pagheremo le conseguenze a settembre e ottobre…
Che cosa nella ristorazione non sarà più come prima?
Il fatto che frequenti un luogo dove ti puoi relazionare con tanta gente. Ogni posto di ristoro, dal ristorante al bar, alla rosticceria era un luogo di incontro in cui tu andavi per incontrare gente, parlare, abbracciarsi e risollevare il morale dopo una giornata di lavoro. Ecco questo non sarà più possibile.
Che messaggio vuoi condividere con i tuoi clienti?
Rivolgersi alla propria clientela come a una famiglia, e fare gruppo, sistema con tutti i protagonisti della filiera del fuori casa. E riprendo quello che ho detto all’inizio: non esiste più il singolare, bisogna parlare al plurale.