Nella sua ultima relazione semestrale, presentata a luglio, la Direzione investigativa antimafia (Dia) ha messo in luce le criticità del tessuto economico italiano che stanno emergendo nella fase post lockdown da Covid. Molti sono i settori diventati più fragili per il calo dell’attività commerciale e per la crisi finanziaria conseguente, con il rischio che le organizzazioni criminali, pronte a trarre vantaggio da questa defaillance e ad accrescere la loro influenza sul territorio, si facciano largo nell’economia sana. Il settore della ristorazione è tra quelli più “attenzionati” per le sue difficoltà nel ripartire. Le inchieste portate avanti dalle Direzioni distrettuali antimafia di tutta Italia evidenziano come il riciclaggio di denaro abbia spesso come sbocco i locali pubblici, e la stessa Coldiretti riferisce di 5.000 esercizi “infiltrati”. Food Service ha parlato di questi temi con il Procuratore distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci in questa intervista in esclusiva, primo passo di un flusso di notizie e approfondimenti che il giornale vuol proporre ai suoi lettori sull’importantissimo e delicato tema.
Procuratore Dolci, come sono uscite le organizzazioni criminali dal periodo di lockdown da Covid?
Nel periodo di lockdown abbiamo sequestrato stupefacenti in maggior quantità rispetto all’ultimo semestre del 2019. Questo dato ci indica chiaramente che le attività illecite non si sono assolutamente fermate e che il loro maggior canale di finanziamento, cioè il traffico di droga, è andato avanti senza problemi.
Ma in quel momento eravamo tutti chiusi dentro casa, con ben altri problemi che non la droga…
Lo spaccio di droga è proseguito, grazie al coinvolgimento di soggetti insospettabili che avevano titolo per poter stare in strada. Abbiamo in corso indagini coperte da segreto, ma posso dire che non è stata una scoperta piacevole.
Quindi par di capire che i capitali da riciclare siano molti. Ma è realmente concreto il pericolo di maggiori infiltrazioni dopo il lockdown Covid?
È troppo presto per dire se questo pericolo sia particolarmente elevato, mi giungono però segnali in tal senso. Mi spiego meglio: pochi giorni fa ho incontrato il prof. Nando Dalla Chiesa, il quale mi riferiva di aver raccolto, attraverso suoi collaboratori, notizie di ristoratori del centro di Milano avvicinati da strani soggetti che chiedevano conto di come andasse l’attività. E se ci fosse una qualche intenzione del titolare a cederla. Parliamo di una zona della città che non dovrebbe essere vulnerabile, ma che post Covid si scopre fragile.
Che idea si è fatta di questa situazione?
Purtroppo siamo solo ai “si dice”: informazioni di carattere troppo generico dalle quali non posso ricavare nulla di concreto. Però vorrei approfittare di quest’occasione per sollecitare coloro che operano nella ristorazione: se ricevete delle visite “strane”, inconsuete, segnalatele ai carabinieri, all’autorità giudiziaria, in modo che si possa intervenire tempestivamente. Non possiamo più trincerarci dietro il fatto di non sapere “chi fossero” o “non hanno scritto mafiosi in testa”, perché ormai chi opera nel settore commerciale al dettaglio ha la capacità di riconoscere la tipologia dell’interlocutore. C’è una sensibilità diversa rispetto a quella di 10 anni fa. Ripeto: se si avverte qualcosa di strano e di non giustificato, è meglio segnalarlo.
Quanto è cambiata nel tempo la fisionomia del “mafioso”? Può agire sotto le mentite spoglie di professionisti che prestano la loro opera per uno scopo criminale?
I professionisti sono gli “elementi cerniera”, i componenti della cosiddetta “area grigia”. Il mafioso si riconosce, anche se non è ovviamente più quello dell’iconografia classica con coppola e lupara. Ha modi cortesi, ma alla lunga asfissianti. Le faccio un esempio che viene dalla mia esperienza: un titolare di un locale pubblico comincia a ricevere la visita di un soggetto, risultato poi in odore di ’ndrangheta, che si presenta più volte nel suo locale, anche con il figlio, e ne magnifica gli arredi, la zona, fino a manifestare un interessamento diretto. È questo il metodo di avvicinamento e il risultato finale di tutto ciò è che il nostro commerciante, pur di liberarsi di questa presenza ingombrante, ha accettato di pagare.
Aveva capito perfettamente con chi aveva a che fare…
Quando lo abbiamo sentito ci ha detto di non essere mai stato palesamente minacciato. Che poi, la minaccia mafiosa non è una minaccia cruenta, ma è quella molto allusiva. Il commerciante recepisce il messaggio e capisce che dietro a quella persona c’è un’organizzazione potente e minacciosa ed è quindi la stessa vittima a dire: “cosa vuoi per toglierti di torno”.
A fronte di queste situazioni, quante segnalazioni ci sono?
Nessuna! Siamo al sentito dire, alla chiacchiera da corridoio…
Ma le segnalazioni non arrivano neanche attraverso le segnalazioni di categoria?
Un modo per non far esporre il ristoratore in prima persona… È un altro tema sul tavolo. Ho tanti rapporti con le associazioni di categoria. Ma anche da loro, non ho avuto segnalazioni di questo tipo nonostante tutti i buoni propositi e gli incontri sul tema della legalità. Capisco la paura del ristoratore, ma proprio per questo è importante il ruolo delle associazioni, è importante fare sistema, anche all’interno dello stesso quartiere. Ci si può confrontare con i vicini e concorrenti, e magari si possono adottare delle iniziative comuni, concordare le modalità per evitare di esporre il singolo commerciante a eventuali ritorsioni. L’importante è che lo facciano sapere a noi, e non tramite un semplice passaparola tra privati.
Coldiretti stima che siano 5.000 gli esercizi già infiltrati in Italia…
Ditemi quali, sono qui per questo motivo. Non che sia senza lavoro, che ne ho già tantissimo, ma mi rendo conto che il momento è così particolare, che mi aspetto la collaborazione dei cittadini, perché se loro si riducono ad attendere solo l’intervento della magistratura, abbiamo fallito.
Controllare un ristorante vuol dire anche controllare un territorio?
Assolutamente sì. In certi contesti territoriali in cui è presente quella che noi chiamiamo la “colonizzazione”, e quindi si parla di ’ndrangheta, la gestione di esercizi commerciali è anche manifestazione del controllo del territorio. È la disponibilità di luoghi sicuri in cui incontrarsi e trasmettere quelle che noi chiamiamo “le ambasciate”.
Post Covid, l’usura vivrà una sorta di boom?
Facciamo delle considerazioni di carattere generale perché il post Covid è una fase iniziata da troppo poco tempo. Si prevede un aumento esponenziale dell’usura perché manca liquidità e perciò sollecito il sistema bancario a essere veloce nell’erogazione dei finanziamenti. Il pericolo reale è che, in mancanza di questa liquidità, il supporto provenga poi dalle organizzazioni criminali.
Secondo lei, i fondi “recovery” europei finiranno in qualche misura anche nelle tasche delle mafie?
Sicuramente saranno interessate ad accaparrarsene una parte. Non grosse cifre, che darebbero troppo nell’occhio, ma piccole somme che però, messe insieme, equivalgono a un importo significativo. E lì starà a noi essere bravi con i controlli antimafia. Quindi, prevenzione da parte degli organi deputati, collaborazione con tutti quelli che sono tenuti agli obblighi antiriciclaggio, innanzitutto gli operatori finanziari, e poi azione di contrasto da parte dell’autorità giudiziaria. Il tema centrale, in ogni modo, è che i soldi devono arrivare presto per evitare un collasso dell’economia. Bisogna avviare in concreto anche la semplificazione amministrativa, che è una strada obbligata per la salvezza del Paese. Possiamo discutere dell’opportunità o meno, ma non vedo soluzioni alternative al momento.
I prefetti svolgono adeguatamente il loro ruolo di contrasto all’attività della criminalità organizzata?
Il loro ruolo è fondamentale, sia con riferimento agli accertamenti per le documentazioni antimafia, sia soprattutto con le interdittive. Il provvedimento amministrativo è spesso più efficace di quello dell’Autorità giudiziaria, e io sono veramente soddisfatta della sinergia che si è creata con la Prefettura di Milano e le altre prefetture del distretto.
Anche le misure di prevenzione sono adeguate?
Secondo me sono lo strumento da utilizzare maggiormente, perché i nostri indagati mettono in conto di andare in carcere e se ne fanno un titolo di merito. Quando invece arrivi a portargli via la casa o le attività commerciali si arrabbiano molto di più.
Il sistema antiriciclaggio dell’Uif, Ufficio investigazioni finanziarie, vi dà una mano concreta?
Noi lavoriamo abbastanza con l’Uif, che spesso rappresenta un importante riscontro delle attività già poste in essere, mentre altre volte ci forniscono e un input specifico per ulteriori attività d’inchiesta. È importante per noi, ma il tema è la tempistica con la quale ci giungono le informazioni (le cosiddette s.o.s., ndr). Vorremmo che fossero più veloci.
Oltre al settore della ristorazione, in quali altri ambiti vede criticità importanti post Covid?
Oltre allo storico settore dell’edilizia, c’è quello assolutamente attuale della gestione dei rifiuti, dei giochi e scommesse (su cui la Dia ha fatto un focus nell’ultima relazione, ndr), il settore della sanità, che muove un fiume di denaro e dove dobbiamo approfondire degli accertamenti. Stiamo approfondendo anche il settore delle farmacie. Ci sono una serie di segnali che ci fanno pensare che sia un comparto interessante per la criminalità organizzata.
La mafia non è più settoriale…
Una volta era legata al cosiddetto “ciclo del cemento”, ora invece si è aperta a tanti altri settori economici.