Ristori che a malapena coprono il costo degli affitti o il fatturato mancato di un mese. E in molti casi non sono nemmeno sufficienti a tali scopi. Basta ascoltare le parole di Marco Serpieri, titolare del caffè-ristorante self service-steak house City Life, situato in via Pisani, a due passi dalla Stazione Centrale di Milano, per rendersi conto della situazione drammatica che stanno vivendo bar e ristoranti. «Ho ricevuto i ristori in tre tranche: a luglio (era quello di maggio arrivato con due mesi di ritardo) 15.000 euro, a novembre 30.000 euro (ovvero il 200% del ristoro precedente) e a dicembre 15.000 euro – spiega Serpieri –. In totale 60.000 euro a fronte di un crollo del fatturato dell’82% nel 2020, pari a 1.500.000 euro. Se poi entriamo nel dettaglio delle cifre, faccio notare che il ristoro di luglio, riferito al mese di aprile, rappresenta il 10% dei ricavi totali che normalmente registriamo in quel mese. Che, tra l’altro, è insieme ad agosto il periodo dell’anno in cui il nostro giro d’affari è inferiore. Aggiungo, inoltre, che il costo dell’affitto (via Pisani è in una zona strategica di Milano, tra Stazione Centrale e Piazza della Repubblica) è pari a 12.000 euro mensili ed è rimasto invariato in tutto questo periodo. È facile, quindi, capire il nostro disagio e la nostra grande frustrazione: quei 60.000 euro sono sufficienti a pagare solo cinque mesi di affitto».
Ma in fatto di paradossi il titolare di City Life ha ancora molto da raccontare. «Come amministratore dell’azienda – prosegue Serpieri – ho ricevuto 1.200 euro in due tranche, una cifra che considero quasi una provocazione, visto oneri (80.000 euro l’anno) e tasse che, nonostante l’attività del 2020 sia stata gravemente compromessa, siamo obbligati a pagare. Tasse che, oltretutto, sono state ridotte solo all’apparenza. Per esempio la Tari, la tassa comunale sui rifiuti, in relazione alla quale molti addetti ai lavori avevano parlato di una riduzione del 40 per cento. Ma non è così: questa riduzione è relativa alla parte variabile della Tari, mentre la parte fissa è rimasta invariata. In soldoni: invece di pagare gli abituali 13.000 euro annuali ho dovuto sborsare 11.950 euro. Circa 1.000 euro in meno a fronte di una “produzione” di rifiuti notevolmente inferiore rispetto allo standard abituale, dato che il locale è stato chiuso tra marzo e maggio e poi ancora tra novembre e dicembre, oltre a tutte le altre limitazioni di orario».
Le parole di Marco Serpieri descrivono uno scenario eloquente sulle difficoltà che stanno fronteggiando gli imprenditori dell’Horeca.