Guardare lontano, spingendo il Made in Italy oltre i confini nazionali, ma al contempo tararsi sulle nuove logiche di prossimità e raccogliere le sfide di una ipersegmentazione del mercato, della polarizzazione della ricchezza nei consumatori e soprattutto del digitale. Sono queste le partite su cui si gioca, secondo Federalimentare, la ripartenza per le imprese di marca.
Se infatti l’Horeca ha subito una contrazione del 35%, il Covid non ha certo risparmiato difficoltà all’industria del food, che nel 2020 ha perso il 10%, con un giro d’affari passato da 250 miliardi a 225 miliardi. In più, stima il sentro Studi di Federalimentare, solo per il 2023 ci sarà un ritorno ai livelli di consumo pre pandemia. “Il rilancio dell’export è la carta più importante per la ricrescita del settore“, ci dice Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, “solo attraverso la diffusione delle nostre eccellenze enogastronomiche fuori dai confini e verso un pubblico capace di riconoscere il loro reale valore, i nostri brand possono riappropriarsi del mercato e ripartire dopo questo terremoto”.
Le imprese sono attese da prove importanti. Qual è il supporto che il settore si aspetta dalle istituzioni?
“Il sistema Italia deve investire e difendere il valore dei prodotti nazionali. Le istituzioni, invece degli aiuti a pioggia, hanno il dovere di puntare sulle imprese che hanno le carte in regola per competere. Sull’export il ruolo del governo deve essere quello di parare il colpo dei competitor internazionali e risolvere minacce come l’etichettatura nutrizionale fronte-pacco: una grandissima minaccia per le nostre eccellenze come il vino o la carne“.
Quali sono gli effetti che il Covid ha prodotto sul mercato?
“I modelli di consumo sono cambiati in modo repentino e completamente inatteso a causa dalla pandemia. Fortunatamente, le aziende del food avevano già avviato da tempo un rimodulazione di gamme, prodotti e formati per rispondere a un crescente bisogno di flessibilità, sia da parte del cliente finale sia dal lato degli attori della filiera. Così come è partito in tempi non sospetti lo sviluppo di azioni concrete per la riduzione degli sprechi“.
La differenziazione dei prodotti dovrà tenere contro anche dell’imponente crescita del delivery nella ristorazione?
“Personalmente, non credo che il delivery sostituirà la voglia di vivere il fuori casa. L’Horeca ripartirà molto velocemente quando la gente potrà tornare a uscire e andare al ristorante a consumare le eccellenze italiane. Ma il mercato sarà sempre più segmentato e le aziende dovranno differenziare, sia per soddisfare nuove esigenze di consumo, come la sviluppata attenzione ai concetti di healthy e valori nutrizionali, sia in termini di prezzo e formato. Il canale discount per esempio ha aumentato i suoi volumi di vendita in un paese che oggi ha meno potere di spesa di quello del pre-Covid“.
Quanto pesa il boom dell’e-commerce sulle strategie competitive?
“Il commercio elettronico è stato il fenomeno più dirompente per il tessuto aziendale italiano. Il ricorso senza precedenti a questo canale ha portato un cambiamento che sarà sistemico anche dopo la pandemia e per questo gli investimenti per adeguarsi al trend sono stati considerevoli. Ma mentre le grandi imprese erano già partite da tempo, il tema è critico per la piccola-media impresa. Federalimentare rappresenta 6.850 imprese e il 95% ha meno di nove dipendenti e questo segmento ha dovuto adeguarsi in fretta al digitale per competere“.
Un’altra “novità” è la riscoperta dei negozi di prossimità e l’acquisto di prodotti locali. Anche questo richiede un adattamento per le imprese produttrici?
“L’industria alimentare deve compiere uno sforzo nel reperimento e nella promozione delle materie prime del territorio. È una strada obbligata e marcata ancora più in quest’epoca. E il negozio di prossimità punta a valorizzare questo tipo di offerta. Il trend è destinato a restare anche nel post-pandemia a sfavore, ad esempio, degli ipermercati che già nel 2020 hanno evidenziato un segno negativo del 2,7%. E, dunque, le aziende dovranno anche adeguare la propria rete di vendita, così come la logistica e la distribuzione, in questa direzione. E investire in sostenibilità“.
Sostenibilità, un’altra delle parole chiave del rilancio…
“Un impegno inderogabile. Fatto di riduzione dell’utilizzo dell’acqua, del rumore, delle polveri e del ripensamento del confezionamento dei prodotti con packaging studiati per essere più leggeri, meno ingombranti e con un ridotto o nullo uso della plastica“.
Tutte queste innovazioni e questi investimenti però bisogna farli senza l’Horeca, il canale con le marginalità più alte. Come ci si riesce? E per quanto il gioco è sostenibile?
“Il nostro è un settore con una storia che viene da lontano, fatto di realtà strutturate e capaci di reggere momenti di crisi come questo. Per di più i nostri associati si stanno facendo carico di riduzioni consistenti della redditività senza scaricarli sul prodotto e, quindi, sui consumatori. Per quanto tempo possa durare non lo so. Ma vediamo un futuro roseo perché abbiamo la convinzione che Horeca ed export torneranno presto a marciare più veloci di prima“.