È una Milano che sogna di diventare Tokyo, quella disegnata da Engel & Völkers Commercial Milano, società di advisory immobiliare operante nel settore del Commercial Real Estate, e UBRI, Unione dei Brand della Ristorazione Italiana, in Food & The City, il primo report che inquadra la fisionomia della città post pandemia attraverso la lente del Food&Beverage, offrendo interessanti chiavi di lettura sullo stato dell’arte del settore ristorazione e sulle sue prospettive.
UN MOSAICO DI FOOD DISTRICT
Una città che, eccezion fatta per lo stop imposto dal Covid-19, non si è mai fermata da quel 2015 che, con Expo, l’ha posizionata tra le città top in Europa per offerta di intrattenimento enogastronomico e “coolness” e che adesso si rifà al modello della capitale giapponese, in cui gli indirizzi di maggiore tendenza sono iper specializzati e raccolti, per conferire un segno di esclusività.
A chi desideri investire in città, si impone, quindi, innanzitutto la ridefinizione della mappatura novecentesca della metropoli meneghina, per dare giusta rilevanza alla dimensione di quartiere, sempre più ricercata al punto da poter parlare di veri e propri district. Food & The City ne individua 15 e ne approfondisce servizi, dimensioni, costi medi e composizione dell’offerta dal fine dining ai chioschi, dalle bakery ai coffee shop sempre più di tendenza.
QUINDICI AREE IN COMPETIZIONE
Addio, dunque alla Milano della circonvallazione interna ed esterna: i confini sono sfumati e fluidi e alcune “Cenerentole” solitamente schiacciate da sorellastre invadenti – da Piazza Diaz al distretto Cairoli Castello, entrambi in cerca di identità all’ombra del Duomo – emergono con una personalità e una clientela sempre più definita e fidelizzata.
Ognuna delle aree individuate, e questo è probabilmente l’aspetto più interessante della ricerca, è in competizione con quelle limitrofe e in senso generale con il resto della città.
I target sono diversi, le attività complementari anche: se nei quartieri centrali – in virtù dei canoni di affitto proibitivi – sono le insegne del lusso i “vicini di casa”, nelle zone semi centrali tante attività indipendenti e di servizio completano lo scenario retail, in continua evoluzione.
UNO STUDIO COMPARATIVO
Milano diventa così terreno per una sfida sana e costruttiva, che mantiene alto il grado di dinamismo del settore e finisce con aumentare il livello e lo standard dell’offerta al consumatore. Nello studio, UBRI ha inteso rappresentare il volto manageriale delle imprese della ristorazione di brand, con i suoi 50 associati, e ha evidenziato come dinamiche e tendenze prendono forma con modalità e intensità diversa a seconda della zona scelta. È dunque possibile comparare l’indagine dei flussi di passaggio sia durante la settimana, sia nei weekend, sia il peso che la categoria food ha sul totale delle merceologie, sia il canone di affitto commerciale medio area per area.
LO “SPLENDIDO ISOLAMENTO” DI CITYLIFE
I cosiddetti quartieri “futuristici” hanno dalla loro una presenza molto consistente delle principali catene di ristorazione e la vivibilità dell’offerta senza soluzione di continuità da mattina a sera, ma scontano una sorta di “splendido isolamento” che vede come condizione peculiare lo scollamento dai quartieri vicini e la pressoché totale assenza di dialogo con gli stessi.
È il caso di Citylife, in cui le catene coprono il 90% dell’offerta food, equamente distribuite tra sandwich, etnico e healthy. Qui il target è giovane, affluente, consapevole e ben disposto a spendere per marchi, insegne e proposte alla moda. Ma allo stesso tempo, più o meno consapevolmente, poco interessato ad andare altrove: una fidelizzazione quasi “annoiata” e ovvia, non da intendersi in senso necessariamente positivo.
DALLA PIZZA DI PORTA NUOVA AL GRAB & GO DI CENTRALE
Più sfumato l’essere “altro” rispetto al resto della città nel distretto di Porta Nuova, che è un ideale trait d’union tra Brera e Isola, non a caso due quartieri molto simili: qui è la pizza a farla da padrone, insieme a una clientela mediamente internazionale e business. I canoni di affitto leggermente più sostenibili che altrove lo rendono un quartiere da monitorare con attenzione. Prevalentemente residenziale e serale è invece il pubblico delle attività di ristorazione e intrattenimento dell’area Porta Romana, l’unica tra le zone storiche a mostrare un netto regionalismo del mix di offerta, concentrato tra caffetterie, pizzerie e ristoranti italiani. Un’assenza evidente di insegne etniche che si ritrovano invece in larga misura nelle zone di interesse storico culturale, ma di grande passaggio turistico, come Brera e Larga-Diaz, quest’ultima pronta a beneficiare della riapertura del Teatro Lirico. Nella iconica zona Duomo, invece, è il regionale a farla da padrone, mentre alle spalle della Centrale è la modalità grab & go, con sandwich e panini, a predominare.
PORTA VENEZIA ETNICA, IN WAGNER LA MILANESITÀ
Infine, due accenti ben identificabili a livello di target e clientela: l’area Lecco-Palazzi, alle spalle di Porta Venezia, è arcobaleno, sia nella caratterizzazione di genere, sia nell’offerta food&beverage qui declinata in chiave assolutamente etnica, con punte anche nel sociale. Un posizionamento che piace a giovani e giovanissimi radical chic e che arriva a esercitare la sua influenza sino a NoLo, il distretto multietnico a nord di piazzale Loreto.
Su stilemi opposti, la milanesità antica e borghese del quartiere Wagner-Marghera: disponibilità di spesa, legame con insegne storiche e interesse a vivere l’esperienza di somministrazione in modo più tradizionale che altrove hanno cristallizzato la zona in un mood anni ’80 che, per nulla malvolentieri, gli abitanti continuano ad alimentare. Ma non è tutto, in tema di opportunità offerte dalla città post Covid: “Lo sviluppo per quartieri è una delle tre tendenze che si individuano con chiarezza guardando alla città di oggi e che sono destinate a consolidarsi già nel breve periodo: le altre sono contrarre gli spazi e verticalizzare la proposta”, spiega Gianluca Sinisi, Licence partner Engel Völkers Commercial Milano & Lombardia.