Tra le ripercussioni del conflitto in Ucraina, vanno annoverate le pesanti incognite sul futuro delle attività che, in questi anni, numerose aziende italiane hanno sviluppato in Russia. È il caso di Inalca, società del gruppo Cremonini con una solida presenza in un mercato dove opera da 40 anni e, tra l’altro, produce hamburger per la locale catena dei fast food McDonald’s.
LE PARTECIPAZIONI IN INALCA
Come riportava ieri l’inserto economico del Corriere della Sera, la società guidata dall’ad Luigi Scordamaglia genera in Russia un giro d’affari di circa 200 milioni di euro, equamente ripartito tra produzione e distribuzione. Con la capofila Marr Russia e la controllata Orenbeef – azienda partecipata con una quota del 7,4% dal fondo sovrano moscovita Rdif (e dal 2020 anche dal fondo sovrano saudita Ayar con l’11,1%), attiva nella produzione e distribuzione di carne per il mercato locale, Inalca distribuisce in Russia circa 4.000 prodotti alimentari, presidiando anche le maggiori catene di supermercati russi.
Sempre in tema di partecipazioni, va ricordato che dal novembre 2014 Cassa depositi e prestiti detiene il 28,4% di Inalca attraverso iQ Miic, la joint venture paritetica costituita nel 2013 per investire nel made in Italy tra l’allora fondo strategico italiano e Quatar Holding, azionista al 50% (l’altra metà oggi è di Fsi Investimenti, che fa capo a Cdp Equity). Il restante 71,6% di Inalca è ancora della famiglia Cremonini. Quest’anno, oltretutto, scade l’opzione tra Cdp e Quatar per cedere o rilevare il 28,4%, una quota che nel 2014 valeva 165 milioni. E al momento, scrive il Corriere, non risultano trattative tra la famiglia e la Cassa depositi e prestiti.
UNA SITUAZIONE DI STALLO
Due anni fa Inalca, con l’obiettivo di essere sempre più attiva nel mercato russo, aveva lanciato a Mosca una nuova piattaforma distributiva, vicino allo stabilimento per la produzione degli hamburger, attivo sin dal 2010.
Inutile dire che la preoccupazione dei vertici di Inalca, in un contesto bellico che va aggravandosi, cresce di giorno in giorno. E si concentra innanzitutto sulla forte svalutazione del rublo (valuta con cui opera Oranbeef), con le conseguenti spinte inflazionistiche ad essa legate. Ecco perché per la società del gruppo Cremonini – che ha chiuso il 2021 con un fatturato stimato a 2,4 miliardi di euro (+13% sul 2020 e +7% sul 2019) – in questo momento non resta che attendere l’evolversi degli eventi. Nell’auspicio che, a complicare le cose, non arrivino contro-sanzioni da Mosca.