L’edizione numero 54 di Vinitaly è stata un successo, probabilmente superiore alle aspettative, e ha confermato il legame tra il mondo del vino italiano e la sua fiera di riferimento.
Vinitaly 2022 ha convinto pur non avendo evidenziato i numeri del passato, che del resto erano impensabili data la situazione pandemica: nel 2019 i visitatori furono 125.000, quest’anno sono stati 88.000, ma il minor numero è stato anche raggiunto attraverso una stretta selezione degli ingressi che ha sicuramente alzato il livello qualitativo delle presenze. Tant’è che la percentuale degli operatori esteri ha fatto segnare il massimo storico con il 28% del totale, pari a circa 25.000 ingressi, e questo al netto della fortissima contrazione – legata alle limitazioni pandemiche agli spostamenti internazionali – degli arrivi da Cina e Giappone, oltre ovviamente ai buyer russi; in una nota, l’organizzazione di Veronafiere stima in 5.000 i mancati arrivi da queste tre nazioni. Ciò significa che se fossero arrivati regolarmente i compratori cinesi, giapponesi e dall’area ex Urss, Vinitaly avrebbe raggiunto le 33.000 presenze estere, le stesse del 2019.
Di fatto, dei 37.000 buyer mancati rispetto al 2019, ben 32.000 sono gli italiani e perlopiù si tratta di wine lovers e curiosi, mentre gli addetti ai lavori non hanno mancato l’appuntamento. Peraltro, Veronafiere segnala che la manifestazione, in chiave nazionale, ha ribilanciato le presenze del Centro-Sud – in rialzo – con quelle del Nord. Tornando all’estero, i primi buyer per nazionalità sono stati gli statunitensi, davanti a tedeschi e britannici.
A pieno regime in due anni
“Si è chiuso il Vinitaly che volevamo, e non era nulla scontato” ha affermato il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani. “Abbiamo dato un primo riscontro dopo una lunga attività di ascolto e condivisione con le aziende del settore, e dato vita a un piano che troverà, progressivamente, pieno regime entro il prossimo biennio. Segnare il record di incidenza di buyer esteri in un anno così difficile sul piano congiunturale e geopolitico è tutt’altro che banale ed evidenzia tutta la determinazione di Veronafiere nel perseguire i propri obiettivi”.
Per il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese: “Il ruolo delle fiere italiane è sempre più legato all’aumento numerico delle imprese che si avviano all’internazionalizzazione, in particolare delle Pmi. Vinitaly, in questa edizione più che mai, si è concentrato molto su questo aspetto con un risultato molto positivo in favore di un settore morfologicamente caratterizzato da piccole realtà. Guardiamo ora al 2023 con un evento ancora più attento alle logiche di mercato e alla funzione di servizio e di indirizzo della nostra fiera in favore di un comparto che abbiamo ritrovato entusiasta di essere tornato a Verona dopo 3 anni”.
L’89% degli italiano beve vino
Intanto gli italiani hanno rafforzato, anche durante la pandemia, il loro interesse verso il vino. A rivelarlo è stata l’indagine “Gli italiani e il vino” dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, presentata nel corso della conferenza stampa di Roma che ha anticipato l’appuntamento veronese.
La ricerca ha svelato che nel 2021 l’89% degli italiani ha bevuto vino e il dato è cresciuto rispetto all’indagine del 2019 grazie ai consumatori millennials e Z generation, che sono aumentati sul piano numerico (dall’84% al 90%); rimane invariata l’incidenza dei consumatori della Generazione X (89%, 42-57 anni) e si abbassa la quota dei Baby Boomers (over 57 anni), che perdono il primato della numerosità passando dal 93% al 90%.
Intanto lo studio Vinitaly-Nomisma evidenzia, per il 2021, mancati ricavi domestici per un miliardo di euro, principalmente legati alla chiusura del canale Horeca nella prima parte dell’anno: il giro d’affari nazionale al consumo è stato pari a 13,8 miliardi di euro contro i 14,8 miliardi del 2019, mentre nel 2020 il dato di chiusura era stato pari a 12,4 miliardi di euro. Il trend di crescita più marcato riguarda i consumi di vini mixati come gli spritz, che hanno conquistato il 63% degli intervistati (erano il 56% nel 2019), gli spumanti (81% contro il 77%) e i rosati (63% contro 57%). In evidenza anche i vini low e no alcol, indicati dal 14% del campione.