Burgez va avanti da solo. “Siamo liberi dagli obblighi imposti dai fondi di investimento. Quindi, per le nuove aperture, non dobbiamo procedere a tappe forzate”, ha raccontato a Food Service Simone Ciaruffoli, Fondatore (assieme a Martina Valentini) e Ceo della società a cui fanno capo venti locali tra la formula “classica” e quella dedicata all’asporto e delivery.
LA TRATTATIVA CON AZIMUT
La “libertà dai fondi” a cui Ciaruffoli fa riferimento non è casuale. Diversi rumors davano Burgez prossima al closing con Azimut per un ingresso nel capitale, con quota maggioritaria, da parte del gruppo italiano leader nella gestione patrimoniale (tramite la Sgr controllata Azimut Libera Impresa). La trattativa non è andata in porto e Ciaruffoli ci spiega perché. “Alla fine non ci siamo trovati. Da questa vicenda abbiamo capito che un’apertura di capitale va fatta sì, ma al momento giusto, e che se vendi prima di scavallare la montagna, finisci per vendere al ribasso. Attendiamo quindi il ritorno a circostanze normali di mercato, quando avremo superato il covid, la guerra e l’impennata inflazionistica. Ne riparleremo nel 2024 o forse l’anno successivo”. A quel punto, Burgez arriverà a trattare con numeri più consistenti, una presenza consolidata nelle due principali città italiane e probabilmente anche con qualche franchising in luoghi strategici per la diffusione internazionale del brand più irriverente dell’hamburger.
IN ARRIVO IL FRANCHISING
Ciaruffoli ha delineato a Food Service, nel servizio che sarà contenuto sul numero in uscita a gennaio, gli obiettivi di Burgez per i prossimi 18 mesi. È prevista una decina di nuove insegne. “Due inaugurazioni riguarderanno Milano, dove arriveremo a quota dieci, e una Torino. Tutto il resto lo faremo su Roma, che alla fine del periodo si avvicinerà ai numeri di Milano. Crediamo molto nella capitale perché è una città grande, più di Milano, e dove c’è forte richiesta”. L’altro passaggio atteso da qui al primo semestre 2024 è l’apertura al franchising, una novità assoluta per Burgez: a oggi, tutti i suoi store sono gestiti direttamente dalla società. “A metà anno pensiamo di iniziare lo sviluppo per affiliazione, scegliendo partner validi e presenti laddove per noi logisticamente diventerebbe difficile arrivare. Abbiamo molte richieste dagli Emirati Arabi, ma non solo: potrebbe anche essere la formula giusta per entrare in mercati come la Spagna o il nostro sud”.
IL FAKE BURGEZ
Nel frattempo, la comunicazione disruptive avrà alimentato nuovo interesse attorno alla catena che auto definisce il suo prodotto “il più schifoso d’Italia”. Finora in Burgez ne hanno combinata una dopo l’altra, dalla fake news del ritorno di Burghy a Monza (classico esempio di quel che viene definito nostalgia marketing) all’uso volutamente provocatorio della pubblicità comparativa, facendo breccia soprattutto tra la gen Z per linguaggio e originalità. L’ultima “trovata” è il lancio, recentemente avvenuto, di Fake Burgez, il panino che nasce come imitazione del più famoso cheeseburger del mondo. “La comunicazione al di sopra delle righe porta qualche problema a livello mediatico, ma poi le vendite decollano…” conclude Ciaruffoli.
IL NODO DELLA VALUTAZIONE
La “libertà dai fondi” a cui Ciaruffoli fa riferimento non è casuale. Diversi rumors davano Burgez prossima al closing con Azimut per un ingresso nel capitale, con quota maggioritaria, da parte del gruppo italiano leader nella gestione patrimoniale (tramite la Sgr controllata Azimut Libera Impresa). La trattativa non è andata in porto e Ciaruffoli ci spiega perchè. “Alla fine non ci siamo trovati. Da questa vicenda abbiamo capito che un’apertura di capitale va fatta sì, ma al momento giusto, e che se vendi prima di scavallare la montagna, finisci per vendere al ribasso. Attendiamo quindi il ritorno a circostanze normali di mercato, quando avremo superato il covid, la guerra e l’impennata inflazionistica. Ne riparleremo nel 2024 o forse l’anno successivo”. A quel punto, Burgez arriverà a trattare con numeri più consistenti, una presenza consolidata nelle due principali città italiane e probabilmente anche con qualche franchising in luoghi strategici per la diffusione internazionale del brand più irriverente dell’hamburger. Nel frattempo, la comunicazione disruptive avrà alimentato nuovo interesse attorno alla catena che auto definisce il suo prodotto “il più schifoso del mondo”. Finora in Burgez ne hanno combinata una dopo l’altra, dalla fake news del ritorno di Burghy a Monza all’uso volutamente provocatorio della pubblicità comparativa, facendo breccia soprattutto tra la gen Z per linguaggio e originalità. L’ultima “trovata” è il lancio, avvenuto a dicembre, di Fake Burgez, il panino che nasce come imitazione del più famoso cheeseburger del mondo. “La comunicazione al di sopra delle righe porta qualche problema a livello mediatico, ma poi le vendite decollano…” conclude Ciaruffoli.