Non tutti gli chef newyorkesi, ora che ci si avvia verso un lento ritorno alla normalità dopo il lungo stop imposto dalla pandemia, potrebbero decidere di tornare nelle cucine dei ristoranti da dipendenti, optando invece per una – a quanto pare – ben più redditizia carriera su Instagram. A sostenerlo, un articolo apparso su Eater a firma di Erika Adams, in cui sono state raccolte decine di testimonianze di chef, sous chef e pastry chef.
UNA NUOVA OPPORTUNITÀ DI BUSINESS
Dopo aver imparato a usare il social network da quasi un miliardo di iscritti in cui il cibo la fa da padrone nei lunghi mesi di distanziamento forzato, i cuochi ora stanno facendo riflessioni sempre più serie sull’opportunità di abbandonare il luogo di lavoro in favore di una vetrina virtuale. Durante il lockdown, e col loro impiego congelato, Instagram ha dato l’opportunità di mostrare all’ampio pubblico della rete le loro abilità e l’originalità delle loro preparazioni cucinando direttamente nelle loro abitazioni. E aprendo un canale di vendita diretto per i follower. Una visibilità fino ad allora sconosciuta e che si è tramutata in una opportunità di business.
PASTICCERI COL FORNO DI CASA
In qualche caso, i numeri e l’hype generato dai post dei singoli chef hanno superato i coperti medi del locale in cui lavoravano. È accaduto, per esempio, con Báhn by Lauren, una pasticceria virtuale in stile vietnamita aperta da Lauren Tran, ex pastry chef della celebre Gramercy Tavern, che registra regolarmente il tutto esaurito ogni volta che sul suo feed appaiono le ambite box multi prodotto da 40 dollari. Per aggiudicarsele ormai c’è una lista d’attesa. Lauren ha lasciato il suo lavoro e ora manda avanti la nuova attività insieme al partner dal forno del loro appartamento. “C’è un po’ di ansia, nel dover gestire un volume di ordini così rilevante in un contesto amatoriale e privato, ma non abbiamo nessuna intenzione di tornare a lavorare per terzi. La libertà di amministrarsi e di godere interamente del frutto dei nostri sforzi, non ha prezzo“.
PRO E CONTRO DELL’IMPRENDITORIA DIGITALE
A essere in dubbio se riaprire il proprio locale, tornare a lavorare per altri o puntare tutto sulla vendita via Instagram sono in molti, in particolare i giovani ed emergenti chef della Grande Mela diventati improvvisamente imprenditori di se stessi grazie alle piattaforme virtuali. A favore della scelta più coraggiosa, quella di lavorare in un contesto iper competitivo in cui, paradossalmente, a contare più della qualità del prodotto sono la sua estetica e la capacità – non necessariamente di uno chef, ma piuttosto di un buon social media manager – di generare l’effetto “wow” e buoni livelli di engagement, c’è sicuramente la totale libertà e indipendenza di gestire ritmi, orari, proposte secondo le proprie esigenze. Di contro, ci sono l’assenza di copertura sanitaria, la paga incerta e anche la necessità di pensare in completa autonomia a rifornimenti, sanificazione, lavaggio delle stoviglie.
UNA NUOVA CARRIERA FIGLIA DELLA PANDEMIA
La maggior parte degli chef, però, e in particolare quelli che avevano da sempre come obiettivo quello di smarcarsi dal ristorante in cui erano impiegati per crearsi un nome in modo autonomo, sono disposti a farsi carico anche di sacrifici più grandi. Lo spiega con chiarezza Shirwin Burrowes, chef da 300 coperti a notte allo stellato ristorante thai Uncle Boons: “Per anni ho sognato di aprire il mio ristorante, ma sono sempre stato frenato dalla mancanza di investitori, dai costi insostenibili per la gestione di tutte le pratiche, per l’affitto del locale…ora, grazie a Instagram, il sogno è diventato realtà, in un modo del tutto imprevedibile“.
RIVOLUZIONE DI PENSIERO NELLA RISTORAZIONE
Burrowes ha aperto un pop-up restaurant virtuale su Instagram, Bajan Yankee, lo scorso luglio e da allora non si è più fermato: “Ogni settimana proponiamo un diverso menu da quattro portate, per 80 dollari, che serviamo a una media di 25 clienti ogni weekend. E siamo spesso costretti a rifiutare gli ordini perché non possiamo realizzarli. C’è grande soddisfazione, ma anche la consapevolezza di aver dovuto compiere un grande salto mentale, prima che organizzativo: a lungo ho pensato di non poter lavorare in una cucina che non fosse super attrezzata, o che non ci fosse spazio, sulla scena food newyorkese, per un altro delivery di cibo caraibico. Superate le mie stesse resistenze, il resto è venuto da sé: due clienti affezionati si sono offerti di finanziare l’acquisto di attrezzature professionali e di sostenermi“. E ora che ha trovato “la propria voce”, Burrowes non ha alcuna intenzione di tornare al modello di lavoro tradizionale. “Se vogliamo cambiare il modo di fare ristorazione, prima di tutto dobbiamo cambiare la mentalità di chi gestisce i locali e di chi ci lavora“, ha chiosato.