Rapporto ristorazione, per Fipe in fumo 514 mila posti di lavoro

Numeri drammatici dal tradizionale bilancio annuale del settore. Scomparse 22 mila imprese e 192 giorni contrassegnati da misure restrittive. Si punta al 2022 per tornare ai livelli pre-pandemia
Rapporto ristorazione, per Fipe in fumo 514 mila posti di lavoro

La presentazione della decima edizione del Rapporto ristorazione, dedicata all’anno 2020, è andata in scena in occasione di un anniversario particolarmente significativo. Lo scorso 18 maggio, infatti, l’Italia riapriva i battenti dopo il primo lockdown, nell’ingenua convinzione di essere uscita per sempre da un incubo.

A distanza di 365 giorni, invece, è proprio il tradizionale report elaborato dal Centro studi della Fipe in collaborazione con Confcommercio a mettere nero su bianco i numeri di un anno disastroso per il mondo della ristorazione. Un settore per il quale la ripresa sembra ancora molta lontana, col realistico obiettivo di raggiungere i livelli pre-pandemia ragionevolmente non prima del 2022.

GLI INTERVENTI DI STOPPANI E DEL MINISTRO GIORGETTI

Alla presentazione del Rapporto ristorazione redatto da Fipe-Confcommercio sono intervenuti, tra gli altri, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, e i massimi rappresentanti della Federazione italiana pubblici esercizi, il presidente Lino Enrico Stoppani, il direttore generale Roberto Calugi e il direttore del Centro studi Luciano Sbraga.

E proprio Svampa ha snocciolato i numeri di una crisi senza precedenti: nel 2020 il settore aggregato dell’alloggio e della ristorazione ha perso 514 mila unità di lavoro. Tra loro 243 mila posti di lavoro a tempo indeterminato, che hanno preferito la strada delle dimissioni per ottenere il Tfr alla prospettiva di dover tirare avanti con la sola cassa integrazione.

IN UN ANNO CHIUSE 22 MILA IMPRESE

Ventidue mila sono state le imprese chiuse, ma il numero rischia di crescere ulteriormente nei prossimi mesi. Pesa come un macigno la desolante insufficienza dei ristori stanziati dall’esecutivo, col 23% delle imprese che ha dichiarato di non avere ricevuto un centesimo. Il tutto in un anno solare che, per il comparto, si è trasformato in un’autentica odissea di aperture e chiusure.

Basti pensare che, dopo i primi 67 giorni di lockdown totale, al 16 maggio 2021 sono stati complessivamente 192 i giorni contrassegnati da misure restrittive, mediamente 51 in zona rossa, 68 in arancione e 73 in giallo. Con regioni che anno cambiato colore fino a 19 volte, sinonimo di un’impossibilità pressoché totale di ripensare un’organizzazione del lavoro, oltre che di un’ovvia carenza di liquidità per gli operatori del settore, dovuta anche a una riduzione consistente della domanda.

Una chiusura ancora più pesante, quella ha colpito il Paese a partire dall’autunno dello scorso anno, se si considera che per sei mesi i ristoranti sono stati costretti a rinunciare alle aperture serali, il cui valore è superiore al 70% del fatturato.

L’IMPENNATA DEL DELIVERY

Nel 2020 si sono registrati notevoli cambiamenti dei modelli di consumo, a cominciare dal crollo delle occasioni serali, passato dal 33% di luglio al 13% di febbraio. Ma anche, provando a intercettare i pochi segnali positivi, la crescita del delivery, salito dal 3% al 10%. In un quadro tanto fosco, va pure evidenziato il danno sociale emerso di pari passo a quello economico, perché, come ha sottolineato il presiedente di Fipe Stoppani, la chiusura di 22 mila imprese rappresenta la scomparsa di altrettanti punti di riferimento per il tessuto sociale del Paese.

I primi timidi spiragli di ripresa, legati agli ultimi provvedimenti varati dal governo, lasciano comunque poco spazio all’ottimismo per l’anno in corso, giudicato ancora all’unanimità un periodo di transizione verso un 2022, si spera, finalmente libero dagli strascichi della pandemia.

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