Più caldo e meno pioggia: lo scotch whisky verso un futuro di scarsità

La carenza idrica metterà sempre più a repentaglio l’industria dello spirit scozzese. Uno studio avverte: a questo ritmo tra sessant’anni molte distillerie spariranno. Un danno economico e ambientale che si può combattere riducendo le emissioni di Co2. Ma le distillerie chiedono che questo impegno sia supportato dalle istituzioni
Più caldo e meno pioggia: lo scotch whisky verso un futuro di scarsità

Per fare il whisky ci vuole l’orzo. Per fare l’orzo ci vuole l’acqua. Per fare l’acqua ci vuole un piovoso temporale. Ma in Scozia le gocce che cadono dal cielo sono diventate meno fitte e frequenti. Colpa dei forti cambiamenti climatici che hanno reso il paese britannico molto più secco di un tempo. Da qui quella che, per ora, suona come una minaccia, destinata però a tramutarsi in terrible realtà entro il 2080. Fra meno di sessant’anni, se la carenza idrica proseguirà e le temperature diventeranno sempre più calde, molte distillerie saranno obbligate a spegnere per sempre i loro pot-still. O a diminuire la produzione causa scarsità della materia prima (e conseguente impennata dei prezzi di questa). Anche perché l’acqua è essenziale per garantire la produzione degli ingredienti di base del whisky, vale a dire l’orzo e il lievito, nonché la torba. Per intenderci, ottenere un singolo litro di scotch whisky necessita, mediamente, di circa 45 litri di acqua, mentre sommando l’intero fabbisogno idrico si consumano oltre 60 miliardi di litri di acqua.

ENTRO IL 2080: PREVISTO 18% IN MENO DI PIOGGIA E 2 GRADI DI TEMPERATURA IN PIÙ

A lanciare l’allarme è uno studio condotto da un team di ricercatori climatici della University College di Londra che hanno studiato gli effetti a lungo termine del riscaldamento globale, focalizzando l’attenzione su quanto successo nel 2018 e giungendo alla preoccupante conclusione che, a questo ritmo, la produzione intera di whisky scozzese scotch subirà una graduale battuta di arresto, obbligando le realtà del territorio a ridurre la quantità di whisky prodotto o a cessare definitivamente l’attività. La stima, da qui al 2080, è che la quantità di pioggia che cadrà sulla Scozia diminuerà del 18%, mentre la temperatura media del paese crescerà di due gradi centigradi.

GIÀ NEL 2018 I PRIMI DANNI REGISTRATI

A commissionare la ricerca dall’ateneo londinese è stata la distilleria Glenfarclas, situata nello Speyside (una delle zone sei zone del paese riconosciute come aree ufficiali di produzione di scotch), che ha voluto fare luce e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione climatica. La stessa distilleria, nel 2018, ha subito una perdita monstre della propria produzione annuale, ridotta di 300 mila litri a causa proprio della carenza di acqua caduta sul territorio. Una situazione che, sempre tre anni fa, è stata riscontrata anche in altre cinque distillerie situate nelle Islay, a loro volta costrette nei mesi estivi a interrompere la quantità di whisky da porre poi in botte.

L’INDUSTRIA PRE-COVID DELLO SCOTCH VALEVA 5,5 MILIARDI DI STERLINE

Se la produzione di scotch dovesse quindi andare in crisi e continuare a ridursi drasticamente, i danni economici non saranno indolore. Stando ai dati forniti dalla Scotch Whisky Association e basati su uno studio di settore del Centre for Economic and Business Research, nel 2019 le vendite nazionali e internazionali di questo spirit hanno generato per le casse del Regno Unito un giro di affari pari a 5,5 miliardi di sterline (circa 6,4 miliardi di euro). Un valore pari ai due terzi di fatturato realizzato dal business legato a tutti gli spirit made in Britain. Le esportazioni nel 2020 sono invece crollate del 23% a causa del Covid.

RIDURRE CO2, MA SERVONO INVESTIMENTI E INFRASTRUTTURE

Non rimane quindi che ribadire l’urgenza di correre ai ripari. E farlo velocemente, prima che sia troppo tardi. Le distillerie di whisky scozzese sono chiamate a loro volta a ridurre le emissioni di Co2. Un obiettivo ribadito in questi giorni proprio nella capitale del Paese, a Glasgow, dove è andato in scena Cop 26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. «L’industria del whisky è solo un pesce all’interno di un oceano – ha, infatti, dichiarato Mark Maslin, tra i responsabili della ricerca sullo scotch condotta dalla London University –. È fondamentale a questo punto ottenere supporto governativo, investimenti e infrastrutture necessarie per permettere davvero di raggiungere la soglia delle emissioni zero».

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