Non solo cattedrali e siti preistorici. Tra i patrimoni culturali da tutelare e valorizzare nel mondo entra, come simbolo della Spagna, la paella valenciana, per la sua “capacità di rappresentare l’arte dell’unione e della condivisione e di essere uno dei testimonial più prestigiosi dell’identità iberica nel mondo”. La paella alla valenciana, dunque, se realizzata secondo la ricetta tradizionale, godrà dello status di “elemento di interesse culturale”, e come tale potrà contare su una tutela legale maggiorata e su una serie di misure di valorizzazione della sua unicità. Nella versione inglese di El Pais, Miguel Fabra racconta come si è arrivati a questo prestigioso riconoscimento. E detta la linea per puntare, in altri Paesi europei, allo stesso risultato con altrettanto iconiche specialità regionali.
DA PIATTO A FENOMENO SOCIALE
Di fatto, si tratta di individuare quei piatti che sono molto di più di un insieme gustoso di ingredienti, quanto piuttosto un vero e proprio fenomeno sociale e che, pur nella capacità di rimanere sempre attuali, conservano un solido ancoraggio al passato.
Nel caso della paella, non c’è festa famigliare o pubblica che non preveda la sua preparazione in un rito collettivo in cui a ognuno è assegnato un compito preciso: dal taglio della carne, alla pulizia del pesce, alla cottura del riso. Gesti antichi che oggi, in chiave contemporanea, sono altamente spendibili anche sui social, nei mini video di Tik Tok o nei tutorial su Youtube.
UNA RICETTA ANTICA ESPLOSA NEGLI ANNI 60
Le origini della paella si ritrovano nelle alture di Albufeira, dove questo piatto veniva preparato per il sostentamento dei contadini e dei pastori della zona; verso la fine del 19esimo secolo è diventata un piatto immancabile sulle tavole dei ricchi borghesi di Alicante e anche il cibo perfetto per i picnic all’area aperta sulle spiagge di Malvarrosa. Alcuni storici si spingono sino a una datazione intorno al 330 avanti Cristo, per la sua comparsa, quando Alessandro Magno introduce la coltura del riso in Europa, ma furono tuttavia gli arabi a promuovere nuove tecniche di coltivazione e irrigazione tali da consentire la diffusione del cereale su larga scala. Per il boom in senso moderno sarà necessario aspettare gli Anni 60, con l’esplosione del turismo internazionale sulle coste spagnole.
DAL 29 OTTOBRE STATUS DI PATRIMONIO CULTURALE
“Parliamo senza dubbio di un piatto emblematico dell’essere valenciani e di cucinare alla valenciana, la cui elaborazione e preparazione è una vera e propria arte ed è legata a doppio filo alle materie prime con cui viene realizzata. Tanto che gran parte della produzione agricola, avicola e ittica della zona è stata riconvertita e messa al servizio della richiesta crescente per questo piatto“, spiegano i promotori della richiesta di tutela del Consiglio comunale valenciano. Tutela che, dallo scorso 29 ottobre, sostanzialmente determina una serie di garanzie aggiuntive di cui la paella potrà godere, tra cui anche approfondimenti didattici, raccolta di documentazione e formazione per fare in modo che l’heritage di questo piatto venga conservato e trasmesso alle generazioni future. “Per noi valenciani è davvero un punto di orgoglio, da sempre”, e a confermarlo c’è persino uno scritto del 16esimo secolo del commediografo Francisco de Paula Martì: “I valenciani hanno l’arroganza, a mio avviso assolutamente giustificata, di credere che nessuno al mondo è in grado di preparare il riso come loro e di condirlo in modi così diversi e gustosi”. Si deve invece al regista francese Eugène Lixse, nel 18esimo secolo, la comparsa della paella in una pellicola cinematografica.
REGOLE PER LA PREPARAZIONE NEI RISTORANTI
Il decreto che assegna lo status di “bene di interesse culturale” precisa sia alcuni aspetti, fondamentali per i ristoranti, della preparazione originale – mai girare il riso mentre cuoce, per esempio – sia la modalità con cui andrebbe consumata: rigorosamente con un cucchiaio di legno. Prossimo passo? Le autorità regionali non hanno dubbi: “Puntiamo a far ottenere alla paella valenciana il riconoscimento di bene storico da parte del dipartimento Educazione e formazione scientifico culturale dell’Onu, a cui appartiene, per esempio, il flamenco“.