Non sarà certamente come il polverone sollevato dal reddito di cittadinanza, ma anche la questione delle chiusure domenicali e nei festivi dei negozi al dettaglio ha prodotto un bel trambusto. Nessuno può ancora sapere se le norme sulla completa liberalizzazione del commercio introdotte dal governo guidato da Mario Monti nel 2011 (il famoso decreto Salva Italia) saranno cambiate: quel che è invece chiaro è che la proposta di un ritorno alla regolamentazione del settore del governo giallo verde, fortemente voluta dal Ministro delle Attività economiche Luigi Di Maio, ha fatto emergere delle divisioni tra i grandi player del commercio e della grande distribuzione finora rimaste sotto il pelo d’acqua. Nel mezzo tanti attori in attesa di capire come finirà questa storia: per esempio, tutti coloro che sono nelle gallerie commerciali dei grandi centri, e in tanti casi si tratta di catene della ristorazione commerciale, che hanno affittato gli spazi a caro prezzo contando su aperture tutto l’anno. Cosa succederà se la domenica dovranno tenere chiuso? Mentre l’iter è in divenire, Food Service ha approfondito alcune delle posizioni in campo.
CNCC, CROLLO DEI FATTURATI E DELL’OCCUPAZIONE
“La domenica rappresenta fra il 15% e il 25% del fatturato settimanale, in funzione delle caratteristiche e dell’ubicazione del centro commerciale. Come si può notare, con la chiusura domenicale la penalizzazione dal punto di vista economico sarebbe pesante”. Massimo Moretti (nella foto sotto), Presidente del Consiglio Nazionale Centri Commerciali (CNCC), sottolinea l’impatto estremamente negativo che avrà la chiusura domenicale dei centri commerciali.
“Il numero relativo alla perdita dei posti di lavoro nei centri commerciali a seguito delle chiusure domenicali, non valutando nella stima l’impatto della chiusura anche di alcuni festivi, è dai noi puntualmente stimato in almeno 40mila addetti – spiega Moretti –. Quattro volte l’Ilva per intenderci. Tra l’altro, le persone interessate sarebbero soprattutto i più deboli nel mercato del lavoro: donne (70% circa) e giovani”.
CONFIMPRESE, A RISCHIO POSTI DI LAVORO E INVESTIMENTI
È allarmato Mario Resca, Presidente di Confimprese, associazione che rappresenta 300 marchi commerciali e 35mila punti vendita, con 660mila addetti. “Con la chiusura domenicale dei centri commerciali si perderebbero fino a 400mila posti di lavoro – spiega Resca, nella foto sotto –. Se si calcolano, invece, le città turistiche il dato scende a una perdita di 150mila, un numero comunque allarmante”.
“Oltre a mortificare i consumi, ci sarebbe, infatti, un calo del 12% del fatturato del retail e si scoraggerebbero gli investimenti in questo settore, immobiliare incluso. Qualcuno ha pensato poi alle spese di gestione dei centri commerciali? Senza le domeniche si azzera il business”.
COOP, DIALOGARE SENZA PRECONCETTI
“Non esprimiamo nessuna chiusura preconcetta a una nuova regolamentazione delle aperture – dice a Food Service Stefano Bassi, Presidente di Ancc-Coop –, affinché si apra una nuova fase di governo del settore della distribuzione”. L’animo della più grande rete italiana di cooperative di consumatori è dialogante nei confronti del governo, delle associazioni dei piccoli (Confcommercio e Confesercenti in primis) nonché dei sindacati in attesa di una revisione delle norme.
“Siamo aperti a un cambiamento – continua Bassi – che tenga conto delle esigenze dei nostri soci dipendenti ma che non perda di vista i bisogni del nostro consumatore. La liberalizzazione delle aperture ha cambiato tempi e modi di fare la spesa da parte degli italiani e non si può cancellare tutto con un colpo di spugna”.
CONFCOMMERCIO, SÌ A UNA REGOLAMENTAZIONE MODERATA
Una “sobria” regolamentazione delle aperture è quel che chiede Confcommercio al governo e al Parlamento per modificare le norme introdotte col governo Monti. “Il comparto del commercio è stato molto bistrattato in questi ultimi dieci anni – afferma a Food Service Enrico Postacchini (nella foto sotto), Presidente di Confcommercio Bologna e membro della giunta federale dell’associazione –. Al contrario noi vogliamo evidenziare come il piccolo commercio svolga una funzione positiva all’interno delle comunità, paesi, città, comprensori regionali, che andrebbe valorizzata al posto di essere soffocata da una liberalizzazione totale che ha finito per indebolire il settore invece che rafforzarlo”.
“Al contrario non vediamo nessun valore nelle aperture 24 ore su 24 per sette giorni su sette – continua Postacchini – , che rendono difficoltosa la vita di chi lavora nel settore. Siamo favorevoli, in particolar modo, a una legislazione nazionale che stabilisca le chiusure per le festività oltre a un numero di chiusure domenicali lasciando poi a ogni singola regione l’organizzazione durante l’anno delle chiusure, per rispettare quelle che sono le specificità territoriali. Siamo contrari, invece, a ipotesi di turnazione tra esercizi, perché svantaggerebbe sempre qualcuno e siamo favorevoli alle deroghe per le zone turistiche“.