Tempi duri, per non dire durissimi, per la ristorazione commerciale Usa. L’emorragia di manodopera e la variante Omicron, che vanno ad aggiungersi all’inflazione galoppante, hanno portato diversi big a ridurre orari di apertura e servizi.
ESPERIENZA UTENTE MODIFICATA PER STARBUCKS
Tra questi vi è Starbucks, che In un’e-mail inviata ai clienti lo scorso fine settimana, ha ammesso che l’esperienza all’interno dei punti vendita “potrebbe sembrare un po’ diversa dal solito in questi giorni“, poiché in alcune località si registrano orari ridotti, carenza di prodotti e/o interruzioni temporanee delle funzionalità di pagamento mobile, considerato il crescente numero di lavoratori in malattia
“Ci stiamo mettendo tutto il nostro impegno per sistemare la situazione“, ha affermato la società nell’e-mail diffusa da USA Today. “Prenderemo sempre decisioni proattive e prioritarie per la salute e il benessere dei nostri clienti e dei nostri partner […] Tali decisioni verranno prese in considerazione del singolo punto vendita e del singolo mercato”.
FAST FOOD LENTO? NON UN OSSIMORO
Situazione non dissimile per McDonald’s, che già lo scorso ottobre aveva paventato l’ipotesi di ridurre gli orari di apertura “Questa situazione ci sta mettendo tutti sotto pressione su alcune cose come l’orario di lavoro”, aveva affermato il CEO Chris Kempczinski, aggiungendo che la mancanza di personale sta impattando anche sulla velocità del servizio. Che per il re dei fast food suona davvero come il più grande degli ossimorio
In un’intervista la scorsa settimana al Wall Street Journal, Kempczinski ha affermato inoltre che la carenza di lavoro e l’inflazione hanno portato a una riduzione media del 10% degli orari di apertura in 13 mila ristoranti su quasi 40 mila.
Per una ristorazione italiana che non se la passa bene, c’è ne una americana che non se la passa certamente meglio.