Sono giorni cruciali per il vino sul mercato europeo. E dall’Italia emergono timori pesanti in uno scenario che rischia di trasformare un simbolo dello stile di vita italiano, ingrediente irrinunciabile nella dieta mediterranea, nell’icona delle minacce alla salute.
È previsto infatti per il 15 febbraio il voto del Parlamento europeo in sessione plenaria a Strasburgo sul report della Commissione Beca (Beating cancer). E per evitare che il vino diventi totem di degrado, bandito dalla pubblicità e privato di ogni sostegno, con le bottiglie marchiate da etichette di alert simili a quelle oggi presenti sulle sigarette, sono stati depositati alcuni emendamenti di modifica legati al vino.
CONSUMO, NON ABUSO
Le proposte di modifica riguardano in particolare la differenza tra consumo moderato e abuso di alcol quale fattore di rischio, la revisione del concetto di “no-safe level” (nessun livello sicuro di consumo) per il vino e della proposta sugli avvisi salutistici, modello sigarette.
“Supportiamo le proposte migliorative presentate dagli eurodeputati – ha dichiarato Sandro Sartor, vicepresidente di Unione italiana vini e presidente dell’associazione europea Wine in moderation – . Il primo obiettivo è quello di evitare che il 15 febbraio diventi una data spartiacque per il futuro del vino italiano ed europeo. Senza la fondamentale distinzione tra consumo e abuso, tra diversi contesti e modelli di consumo lo scenario che si delineerebbe per il settore sarebbe disastroso sul piano socioeconomico.”
La comunicazione del Piano di azione della Commissione europea per combattere il cancro – rimarcano da Uiv (che rappresenta l’85% dell’export italiano) – è preoccupante.
“Troviamo fuorviante – spiega il segretario generale Paolo Castelletti – il principio per il quale il consumo di alcol sia considerato dannoso a prescindere da quantità e tipologia della bevanda. Ancora più inique di questa premessa sono le proposte del piano che vedono assimilare il consumo di vino al fumo, con la conseguenza di azzerare un settore che solo in Italia conta su 1,3 milioni di addetti e una leadership mondiale delle esportazioni a volume.”
PRODOTTO MILLENARIO
“Se assunto come linea guida – spiega il dirigente – questo documento di indirizzo porterebbe sostanzialmente a dover comunicare il vino come prodotto dannoso, che arreca danno alla salute (come il tabacco). Un approccio insensato. Spagna, Francia e Italia hanno il consumo di vino pro capite più alto – rimarca Castelletti – eppure l’impatto dell’alcolismo è nettamente meno preoccupante rispetto ad altri paesi in cui il modello di consumo è differente. Il vino è un prodotto millenario, con valenze culturali importanti in Europa. E gli studi medico-scientifici confermano che consumato correttamente non desta preoccupazioni, mentre il rischio di cancro non può essere valutato in maniera isolata, bensì nel contesto del modello culturale, alimentare, delle quantità del bere e dello stile di vita.”
Con ogni probabilità il documento licenziato dalla commissione non potrà essere stravolto dal Parlamento, “perché per un europarlamentare non è facile esporsi per difendere bevande alcoliche e carni rosse, mentre qualcuno ha denunciato che fanno male”, chiosa il segretario generale Uiv.
UNO TSUNAMI DA 5 MILIARDI L’ANNO
Secondo Uiv, infatti, senza gli emendamenti al testo il vino subirebbe nel medio-lungo termine un effetto tsunami solo in parte calcolabile. La contrazione dei consumi stimata è attorno al 25/30%, ma ancora maggiore sarebbe quella del fatturato del settore, che calerebbe del 35% per un equivalente di quasi 5 miliardi di euro l’anno. Senza considerare i danni agli asset investiti, che si svaluterebbero, e i danni all’indotto.
“Il gioco a perdere si rifletterà molto anche sui consumatori – aggiungono dall’Unione – costretti a pagare di più a fronte di una minore qualità. La riduzione dei contributi porterà infatti all’aumento dei costi di produzione; al contempo però si assisterà a un appiattimento della qualità, a una riduzione del valore medio del vino per la cantina ma paradossalmente a un aumento allo scaffale, a causa delle maggiori accise. Inoltre, la difficoltà a lavorare sui brand, anche a causa dei veti alla promozione, porterà progressivamente a un proliferare di etichette prive di marchi: private label che deprimeranno la diversificazione dell’offerta data in particolare dai piccoli produttori artigianali con minori economie di scala, ma anche dalle imprese medie che fondano su qualità e politiche di branding l’attuale fortuna del vino tricolore.”
Uno scenario – secondo Uiv – che si farà grigio anche in chiave turistica nelle campagne italiane (con l’enoturismo che da solo vale 2,5 miliardi l’anno).