Gran Bretagna, Fish & Chips a rischio

Il Regno Unito affronta una crisi storica del costo della vita, con bollette al rialzo, inflazione a due cifre e prezzo del pesce alle stelle. Il piatto simbolo della classe operaia, il Fish & Chips, rischia di dover cambiare pelle, per sopravvivere
Gran Bretagna, Fish & Chips a rischio

Una delle colonne della cucina made in Uk, il fish & chips, è a serio rischio di sopravvivenza a causa dell’aumento delle materie prime e dei costi di gestione delle attività di somministrazione.

Siamo prossimi alla paralisi”, dichiarano diversi operatori del settore a Elliot Smith che ha raccolto le loro opinioni in un articolo su Cnbc.com. “Temiamo per il nostro futuro, perché l’aumento dei costi del pesce e dell’energia comprime i margini di guadagno. L’inflazione, che è già a due cifre, si prevede che peggiorerà nel prossimo anno, colpendo i consumatori e le piccole imprese. E la fine della stagione estiva determinerà un calo fisiologico dei consumi”.

RUSSIA, FORNITORE CHIAVE

Ma come si è arrivati a questo stato di crisi? I prezzi di pesce, patate e petrolio sono saliti a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e della successiva serie di sanzioni internazionali a danno del Paese che è uno dei fornitori chiave di pesce bianco per molti, Gran Bretagna compresa. 

Se prima della pandemia, in media, si pagavano 80 euro per 20 chili di pesce, ora il prezzo è arrivato a 300 euro per la stessa quantità; in più il governo britannico ha implementato una tariffa aggiuntiva del 35% sulle importazioni di pesce dalla Russia, come parte delle misure punitive adottate in seguito alla guerra. 

La siccità estiva nel Regno Unito, inoltre, ha ostacolato la crescita dei raccolti, così da determinare un ulteriore aumento dei prezzi delle patate, mentre quello dell’olio di girasole, utilizzato da molti negozi di pesce e patatine, è raddoppiato.

ORARI RIDOTTI E NUOVI FORNITORI

Chi gestisce attività storiche, spesso presenti nei paesini della costa britannica da più di 30 anni, cerca di contenere i danni: c’è chi pensa di aprire solo un paio di giorni alla settimana, a ridosso del weekend, e chi chiede con forza un aiuto governativo, per fronteggiare aumenti che in qualche caso, per le bollette energetiche, hanno superato il 60%.

Abbiamo contattato i nostri fornitori per cercare di bloccare i prezzi per un anno o più, ma l’incertezza delle prospettive macroeconomiche e geopolitiche fa sì che molti non siano disposti ad ascoltarci”, aggiungono gli operatori. 

Molte pescherie si stanno rivolgendo alla Scandinavia, e i rappresentanti della National Federation of Fish Friers (NFFF) si sono recentemente recati in Norvegia per cercare di mitigare il problema dell’impennata dei prezzi. Andrew Crook, presidente dell’Associazione, commenta: “Potenzialmente siamo di fronte alla peggiore crisi che il settore abbia mai affrontato. Le prospettive sono spaventose e l’impatto degli aumenti non si è ancora riversato completamente sui prezzi praticati dai fornitori. Il peggio deve ancora arrivare e abbiamo bisogno di un governo coraggioso che prenda decisioni difficili, ma le riconosca come un investimento per il futuro del settore e la sua sopravvivenza”.

GIU’ LE MANI DAL PIATTO POPOLARE

Le pescherie, di fatto, hanno margini di manovra molto contenuti sugli aumenti al consumatore finale. Il fish and chips, sia nell’immaginario collettivo, sia nell’iconografia britannica, dai film ai libri, è stato a lungo considerato il piatto simbolo della classe operaia. Economico, autentico, servito in uno scartoccino essenziale, conserva tuttora un fascino intoccabile. Gli aumenti al consumatore sono di circa 2 euro, al momento, ma si stima che entro la fine dell’anno potrebbero arrivare al doppio. 

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