Oggi le esperienze che contano, nel mondo food, sono quelle basate sul diritto di vanto, di cui gli NFT sono l’espressione più puntuale: i non-fungible-token, certificati che attestano la proprietà di un asset (di un piatto o di una ricetta, quindi, anche), sono passati per metonimia ad identificare l’opera digitale a cui sono associati, che esiste nel Metaverso ed eventualmente può essere traslata in una versione fisica.
Sempre più popolari rispetto al 2021 (+35% secondo Bain & Company), rappresentano un punto di attrazione e di contatto che piace anche ai più scettici: l’idea di possedere qualcosa che è difficile da conquistarsi ed è disponibile in edizione ultra limitata spinge a superare le comprensibili barriere all’ingresso di quanti, dal mondo virtuale, hanno sempre considerato il cibo e la sua fruizione molto distanti. E il futuro presenta già una nuova sfida: il loro utilizzo, piuttosto che la pura collezione, potrebbe definirne la prossima fase evolutiva (crescita dell’interesse +500% negli ultimi 18 mesi, sempre per Bain & Company). Le prime evidenze ci sono già: FlyFish, il primo NFT restaurant che ha aperto a New York e rende disponibile il sushi in versione token, è costantemente sold out. A Manhattan e nel Metaverso.