Forse è prematuro dire che la crisi di Beyond Meat stia avendo ripercussioni sull’intero comparto, ma certamente sono tempi difficili per il plant based, sia nel retail che nella ristorazione, come riportato da RestaurantDive.
Co-branding? Sì, ma…
Il portale americano indica come gran parte delle catene americane continuino a lanciare opzioni sul menù in co-branding con i più i più importanti brand del plant-based: una soluzione che forse non stuzzicano più l’appetito dei consumatori. Le ragioni sono da ricercare in quella che è una delle cause della crisi del mercato in America, ovvero un certo appiattimento sia nella qualità che nel marketing. In sostanza tutti offrono la stessa cosa nello stesso modo.
Meglio in house?
Molti format hanno infatti dovuto abbandonare diverse campagne a tema dato lo scarso appeal presso i consumatori, anche per ragioni di prezzo, che in tempi di inflazione ha certamente il suo peso.
In tal senso, una possibile svolta può venire da brand come Chick-Fil-A e Fatburger, che hanno sviluppato le proprie alternative vegetali in casa. Una filosofia per certi versi simile a quella perseguita sin dall’inizio da Flower Burger.È lapalissiano come un hamburger fatto in casa eviti quell’effetto copia/incolla che si verificherebbe invece con un prodotto di Beyond o Impossibible.
Ma l’Europa no
Problematiche che sembrano non riguardare il vecchio continente. Burger King Germania, il format forse più all’avanguardia in Europa per quanto concerne il plant based, ha dichiarato a RestaurantDive che 4 menù venduti su 10 sono vegani o vegetariani. E l’Italia? L’osservatorio del Good Food Institute sul consumo di alternative vegetali in Europa mette il nostro Paese al terzo posto. Una posizione che sicuramente ci fa onore.