Tutto nacque nel 2011 in via Durini, nel cuore di Milano, a due passi da uno dei luoghi simbolo –scherzi del destino – della moda dei “paninari” che impazzò negli anni Ottanta. In una città molto diversa da quella di oggi anche nel panorama del consumo fuori casa, Panini Durini si proponeva alla dinamica ed esigente clientela meneghina come un format ideato per rispondere in modo nuovo a esigenze nuove: un locale che offrisse una caffetteria e una piccola ristorazione di qualità, con un servizio attento, pieno di energia e attenzione. Consolidatasi soprattutto a Milano e con all’attivo una presenza in due importanti centri commerciali lombardi (Carosello a Carugate e Cortefranca a Erbusco), nel luglio 2018 l’insegna è stata oggetto della prima operazione dell’advisory company Astraco, che ne ha acquisito la quota di maggioranza attraverso un pool di investitori. Tra questi Domenico Mazzeo, manager di successo nel settore del food retail, che ne è diventato Amministratore Delegato. Lo abbiamo incontrato in un locale della catena chiedendogli la filosofia e gli obiettivi del “nuovo” Panini Durini.
Come possiamo definire oggi la mission di Panini Durini?
Partiamo da una premessa doverosa: nei suoi primi sette anni di attività, Panini Durini ha introdotto con successo un modello di “bar urbano o metropolitano italiano”, assimilabile a molti format che possiamo riscontrare in grandi città come Londra, dove troviamo, accanto a format inarrivabili, altri che sono più vicini alla nostra esperienza e più replicabili. La mission iniziale, quella di lanciare una nuova concezione di bar in linea con le esigenze di una città in evoluzione, era stata rispettata. Assunto questo incarico, abbiamo subito ragionato sui valori del brand Panini Durini, condensandoli in tre parole chiave che ci caratterizzano in modo particolare: fresca, energia, positiva, in inglese ‘cool fresh energy’. È qualcosa che sentiamo davvero molto nostro: pur nel pieno rispetto di altri concetti alla base di altri format, non vedo molte realtà basate su questi plus. Spesso in Italia vediamo singole realtà eccellenti, non replicabili, ma non è facile applicare certi standard a una catena: per questo siamo molto fieri del lavoro che stiamo producendo in Panini Durini.
Come declinate questo posizionamento?
A 360 gradi nel servizio, nel prodotto e nel prezzo. Offriamo un ottimo rapporto qualità/prezzo: ciò significa forte attenzione alle materie prime utilizzate, anche se non puntiamo all’ingrediente di nicchia o al panino gourmet, e allo scontrino medio, che si posiziona sui 6-7 euro. Quanto al servizio, dev’essere veloce ed “energico”: tutta la comanda deve essere gestita nel limite del possibile entro 20 minuti. In locali di piccole dimensioni, se il servizio non fosse rapido, e sorridente, non sarebbe possibile gestire flussi di clientela anche molto elevati. Siamo nati per essere “il bar che non c’era” e oggi il nostro pay-off è “no ordinary bar”: un concept che, come alcuni altri, rivisita la tradizione con un approccio contemporaneo, che si traduce in sempre maggior attenzione a qualità e servizio. D’altronde, operiamo in uno scenario in cui non si può più improvvisare.
A cominciare dalla gestione…
Assolutamente sì. Le catene anglosassoni ci insegnano a prestare la massima attenzione al conto economico e a una serie di indicatori chiave dell’andamento del business: mi riferisco ai KPI (Key performance Indicators), che ti danno in maniera istantanea l’idea di dove la gestione si sta orientando. Oggi senza un “tableau de bord” è difficile operare, specialmente avendo a che fare con i vincoli della legislazione e del mercato. Ecco perché la prima cosa che ho fatto come CEO è stata proprio introdurre una serie di KPI molto concreti: la nostra riunione del lunedì parte da quelli. A costo di sembrare un po’ all’antica, rivendico di appartenere alla scuola che insegna l’importanza fondamentale della “riga in basso” del bilancio: una gestione sana consente alle catene di esistere e durare nel tempo. Per questo non ho problemi ad ammettere di aver chiuso il locale di via Moscova che, circondato da molti competitor, non aveva prospettive di crescita e non esprimeva il nostro ‘mood’.
Parliamo di menu: cosa propone Panini Durini?
Il cuore è naturalmente l’offerta salata: panini e insalate, prodotti ogni giorno con ingredienti freschi e di qualità, genuini e gustosi, rappresentano circa il 50% dei ricavi. Un altro elemento caratterizzante è senza dubbio la caffetteria, che propone una scelta molto ampia, attenta alle tendenze ma non schiava delle mode. Puntare sulla caffetteria significa avere personale molto specializzato e aggiornato con una formazione costante. Abbiamo un’eccellente proposta di dolci e siamo molto attenti anche al segmento gluten free. Vogliamo essere un brand inclusivo e quindi dobbiamo dare risposte a segmenti di clientela diversi: un esempio è il nostro pane integrale, davvero di alto livello.
A quale target vi rivolgete?
Il target spesso è caratteristico della specifica location, tuttavia possiamo affermare che, in generale, la donna 18-35enne rappresenta due terzi della nostra clientela. Non mancano comunque i professionisti e clienti di fasce d’età più elevate. Non dimentichiamo che siamo un esercizio di prossimità, non una destination. Dobbiamo attrarre il traffico di passaggio e offrire un’esperienza unica a chi ci frequenta, dando una risposta forte in termini di servizio e di presidio del territorio.
Come gestite i fornitori e la logistica?
Abbiamo un ufficio acquisti centrale. La Responsabile Food&Beverage fa accordi quadro con i fornitori, ma ogni punto vendita effettua per conto proprio gli approvvigionamenti. Siamo molto attenti al food cost e al problema degli scarti. Stiamo avviando un percorso “plastic free” a cominciare dai pack della delivery, che in futuro sarà tutto in Pla. Come piattaforma logistica utilizziamo Marr.
Quanto conta la formazione?
Non se ne fa mai abbastanza, eppure è fondamentale. Basti pensare che lo scorso anno Panini Durini ha staccato due milioni di scontrini: questo significa una gran mole di lavoro per locali dove coesistono produzione e vendita. Noi ci impegniamo molto con programmi sia in aula, sia on the job e il team di ogni nuovo punto vendita affronta un periodo di 2-3 mesi di training. In futuro, vorremmo aumentare la formazione commerciale.
Come vede lo strumento del franchising?
Per me il franchising è un buon mezzo per sviluppare in breve tempo mercati che non si intende presidiare direttamente. La precondizione però è trovare un partner del settore e che sia disposto, se il format funziona, a intraprendere un piano di sviluppo importante. Penso quindi al mercato europeo, sul quale stiamo facendo alcuni ragionamenti che, in ogni caso, non si concretizzeranno prima del 2020.
Che ruolo ha la delivery nel vostro business?
Il primo locale di via Durini ha fondato una parte importante del proprio successo sulla delivery: un servizio organizzato con fattorini propri, che al pari del personale del locale si sono trasformati in veri brand ambassador. Da poco abbiamo avviato anche una partnership con Deliveroo. Resta il fatto che uno degli elementi di fascino di questo settore è l’esperienza. Il bar si conferma occasione di incontro, per cui stiamo rendendo le nostre location sempre più accoglienti: vedi il VPN a 1 Giga di Vodafone e la presa Usb che inseriremo in tutti i locali.
Quali sono gli obiettivi 2019?
Puntiamo a raggiungere le 25 aperture: la nostra sfida è uscire bene da Milano, puntando su città del Centro Nord con anima studentesca o professionale con locali che “parlino il linguaggio” e si adeguino alle specifiche location: lo scorso 4 marzo abbiamo aperto il 17° locale a Pavia, il prossimo sarà a Bergamo. Centro città a parte, abbiamo affinità con il canale travel e ci vogliamo essere. Anche il mondo degli shopping mall e outlet offre alcune location molto interessanti, ma va detto che sviluppiamo il 75% dei flussi a colazione e pranzo, mentre in quelle location il top si raggiunge verso sera.