Una “storia d’amore” che dura da oltre vent’anni, frutto della passione sviscerata del fondatore Marco D’Arrigo per la cucina di tradizione americana, del desiderio di trasmettere valori positivi e fare cultura sul cibo di qualità, e di una gestione che in questi ultimi anni ha introdotto quel contributo di rigore manageriale, organizzazione e programmazione indispensabile per fare di questa passione un modello replicabile. Parliamo di California Bakery, un format che nel 1996, con la prima storica apertura di viale Premuda, ha scritto una pagina inedita nel panorama milanese del fuori casa.
Un caso esemplare di successo all’inizio forse neppure cercato, quindi sviluppato e coccolato nel tempo, arrivato poi a una “maturazione” che avrebbe potuto farlo implodere. E, infine, rilanciato coniugandone i tratti distintivi, non solo buon cibo in locali molto curati e distintivi, ma il calore di un luogo accogliente nel senso più ampio del termine, con un approccio rigoroso e moderno al business. Una lunga conversazione, ricca di spunti e di interessanti approfondimenti sul mondo in rapida evoluzione del food retail, con la General Manager Maria Luisa Castiglioni, arrivata in California Bakery dopo una importante esperienza maturata nel contesto di un gruppo imprenditoriale italiano attivo nel mercato della pasta fresca, ci permette di scoprire una realtà in pieno fermento. Complice la settimana del design, una delle più intense e frenetiche anche per California Bakery. La location dell’incontro sulle prime ci sorprende: un grande e luminoso capannone in una delle periferie postindustriali di Milano, in fase di sistemazione ma già operativo, scelto come sede dell’headquarter e dei laboratori dove si prepara l’85% dei prodotti nel menu dei locali.
Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di un locale ispirato ad alcuni must della tradizione culinaria americana?
Marco D’Arrigo lavorava in Procter & Gamble: poteva sviluppare una carriera classica e invece decise di prendersi un anno sabbatico. Fece un viaggio di diversi mesi negli Stati Uniti, scoprendo che nelle bakery operavano pasticceri e panettieri napoletani e, come lui, siciliani. A Milano faceva colazione in Largo Augusto nella piccola caffetteria di Carol, un’americana che aveva aperto l’attività con il solo scopo di far assaggiare i prodotti tipici americani, come le apple pie, i muffin o i cup cakes. Di ritorno dagli Stati Uniti, Marco trovò il punto vendita chiuso, riuscì a contattare Carol e a convincerla non solo a vendergli il negozio, ma anche a fargli un indispensabile training. Iniziò così un’avventura destinata ad aver subito successo, tanto che le aperture diventarono tre. A quel punto il fondatore si rese conto che la sua passione aveva occupato tutta la sua vita: era troppo e così decise di vendere.
Colpo di scena: poi cosa accade?
Un colpo di fulmine. L’agenzia di comunicazione che avrebbe dovuto gestire il rebranding in vista della cessione assegnò a California Bakery l’account che sarebbe diventata la moglie di Marco: Carolina, che lo convinse a non vendere il format. Il progetto ripartì fino ad arrivare a sei punti vendita nel 2014, l’anno del mio arrivo. In quel periodo era appena decollato il progetto di Bagels, un format più urbano e semplice da gestire. In quegli anni California Bakery aveva ormai acquisito un’immagine molto forte e definita in città, ma con un limite: la scarsa cura del “back office”, un’attività facile se si ha un punto vendita, molto più complicata quando la rete si ingrandisce: senza ingegnerizzare dei processi non puoi controllare sei punti vendita. E quindi il format è andato incontro a una crisi da “iper sviluppo”.
Come ne siete usciti?
Quando sono arrivata a fine 2014, abbiamo cominciato dalla riorganizzazione societaria: basti pensare che ogni punto vendita aveva una legal identity separata dagli altri, un appesantimento certo non funzionale in chiave di sviluppo. Abbiamo deciso di chiudere i due Bagels e di bloccare lo sviluppo di California Bakery fino a quando non avessimo messo ordine nel “back” e nell’ingegnerizzazione. Oggi posso affermare che il processo è stato felicemente completato: abbiamo investito in termini di applicazione e pianificazione dei turni del personale, negli inventari e nel sistema degli ordini: tutto è controllato da remoto. Attraverso un sistema ad hoc gestiamo la contabilità generale di tutte le aziende del gruppo e singolarmente le attività degli store, che tramite portale fanno ordini diretti, evasi tramite la piattaforma logistica. Nell’ottica di minimizzare dispersioni e diseconomie e tracciare meglio i prodotti, abbiamo centralizzato gli acquisti nel Cedi, lasciando al punto vendita quelli con una shelf life inferiore ai 7 giorni, ovvero latticini, lattiero-caseario e ortofrutta.
Un processo che replica, in una certa misura, quello della Gdo. Insomma, dalla maniacale gestione delle tre voci fondamentali per questa attività, food cost, labour cost e real estate, abbiamo tratto un enorme beneficio.
E quindi avete ripreso i piani di sviluppo…
Nel 2017 ha aperto il settimo California Bakery a City Life, esterno alla struttura di vendita, e adesso finalmente abbiamo deciso di portare il format fuori Milano. Per la fine di aprile apriremo a Bergamo, nell’ex Caffè della Funicolare. Nel frattempo, abbiamo acquisito due punti vendita a Lugano, che diventeranno un California Bakery e un Bagels (progetto riavviato che annovera al momento altri due punti vendita a Milano), che apriremo tra fine maggio e giugno. In Svizzera puntiamo anche si città quali Zurigo e Ginevra, mentre un importante retailer ci ha contattato per aprire a Losanna. È un momento felice: abbiamo ingegnerizzato i processi come se fossimo una grande catena e questo ci permette di affrontare ogni nuova apertura con procedure molto definite e pianificate. Penso ai manuali ricchi di foto che illustrano ogni passaggio delle ricette: perfetti per le nostre risorse umane, che comprendono persone di molte etnie e lingue diverse.
A proposito: che ruolo gioca la formazione?
Abbiamo circa 200 addetti ai quali si aggiungono i 20 di Bagels, una realtà multietnica che formiamo attraverso frequenti corsi e riunioni, cercando di creare un forte spirito di appartenenza. Evitiamo una gestione piramidale dell’organigramma: cerchiamo di far crescere tutti e di dare opportunità di carriera. Sentirsi parte dell’azienda è fondamentale. Per questo abbiamo varato un piano di welfare a favore dei dipendenti. Certo completare gli organici non è facile: fatichiamo per esempio a trovare retail manager con la necessaria formazione ed esperienza nel food.
Come si configura l’offerta di California Bakery?
Abbiamo un assortimento che propone i classici della tradizione americana (club sandwich, bagel farciti, eggs in svariate declinazioni, ecc.), alcuni dei quali adattati in chiave italiana, e copre tutte le fasce di consumo. Si parte dalla colazione dolce e salata all’americana, con molti prodotti realizzati in loco: è il caso dei muffin o degli scone. La pausa pranzo è arricchita da un “daily menu” che segue i ritmi delle stagioni, ideale per chi ci frequentatutti i giorni e ha quindi l’esigenza di cambiare.
Un altro momento molto importante è la merenda pomeridiana, che dalle 15.00 alle 18.00 riempie i punti vendita di bambini accompagnati dalla mamma o dalla nonna: crediamo di essere gli unici su Milano a fare così grandi numeri in quella fascia oraria. Spesso organizziamo feste di compleanno nei negozi o nel Cooking Lab di viale Premuda (utilizzato anche dalle aziende per iniziative di team building), accanto al primo California Bakery. Tutto questo senza dimenticare la cena e il dopocena, altri due momenti che copriamo con proposte dedicate.
Quali sono i tratti distintivi dei locali, al di là del menu?
Da sempre, la carta vincente di California Bakery è il saper far vivere al cliente, che amiamo chiamiare ospite, un’esperienza appagante. Non a caso, gli store manager per noi sono ‘padroni di casa’ che devono far sentire a proprio agio chi sceglie i nostri locali dal saluto all’ingresso fino all’uscita. Anche gli arredi ci contraddistinguono: innanzitutto, siamo soliti non fare mai interventi invasivi sulle strutture destinate a ospitare un punto vendita. Ci sono poi elementi e codici cromatici inconfondibili: i banconi in legno antico di recupero, le sedute, i cestini verde pistacchio, la radio dedicata e molto orientata al jazz. Senza contare il profumo del pane disponibile ogni giorno dalle 17.00 e di tutto quanto viene cotto e sfornato all’interno dei punti vendita.
Che tipo di clientela frequenta California Bakery?
È una clientela molto trasversale e internazionale. A seconda delle location, abbiamo frequentazioni molto diverse: paesi anglosassoni, Asia, Turchia, Marocco. Chi viene da noi trova un angolo tranquillo, può fermarsi a lungo, magari per leggere o usare il pc.
C’è spazio, in futuro, per il franchising?
Per quanto riguarda California Bakery, nei prossimi due anni faremo solo aperture dirette. Da qui a tre anni vorremmo arrivare a una trentina di aperture, orientandoci su città d’arte e universitarie, ma anche sulla ristorazione commerciale travel in stazioni e aeroporti, dopo la chiusura dello spazio che avevamo aperto a Linate, in partnership con Cremonini. Abbiamo anche un progetto di “abstract” di California Bakery da destinare a strutture di ristorazione veloce come le food court dei centri commerciali, con una selezione di prodotti che vendiamo nei nostri store e metrature più piccole. Non escludiamo di entrare nel mondo della grande distribuzione attraverso un corner dal costo di realizzazione e gestione più contenuto, che andrebbe a colmare la scarsa presenza di offerta dolce tipica di quei canali.
È vero che la Gdo non vi interessa solo come futura location per una versione “corner” di California Bakery?
In effetti stiamo lavorando, proprio nei laboratori della nuova sede, a una linea di prodotti ambient da scaffale per la grande distribuzione, dove crediamo ci sia spazio per prodotti che già vendiamo nei nostri negozi, come i preparati per dolci (muffin e pancakes), realizzati con ricette molto naturali e quindi coerenti con i trend di consumo attuali e con il crescente successo dei prodotti di ispirazione americana. In più, proporremo un prodotto non presente negli scaffali Gdo, certificato Halal e Kosher e quindi aperto a un target molto ampio, lanciando una nuova categoria nel settore degli snack: speriamo di essere a scaffale entro settembre.