I suoi ristoranti, di fronte a una situazione apparsa subito allarmante, li ha chiusi in anticipo rispetto ai primi provvedimenti del governo sull’emergenza coronavirus. Ma non si è perso d’animo. Beppe Scotti, co-founder e Ceo del gruppo Ethos, ha sfruttato lo stop per fare il punto su un’impresa da 15 milioni di euro di fatturato, circa 250 dipendenti più altri 150 a chiamata, dieci ristoranti (tre a Milano, cinque nelle province di Monza e Brianza, Como e Lecco, oltre a un locale nel centro commerciale Porte di Mestre e al Birrificio di Como: l’acquisizione più recente), una linea di prodotti food&beverage e attività collaterali, dagli eventi alla consulenza.
Ad aprile era fissata l’inaugurazione di un nuovo agriturismo nella sua Lombardia: un progetto che vedrà la luce appena possibile.
OCCHIO AL CONTROLLO DI GESTIONE
“Ethos compirà 32 anni a dicembre: una lunga storia tutta sviluppata nel mondo della somministrazione – afferma Beppe Scotti, al timone del gruppo con la stessa carica e forza di volontà sfoderate per diventare un esperto ‘ultrarunner’ – che nel corso del tempo ha abbracciato non solo ristoranti, ma anche caffetterie, coffee shop, lounge bar, panetterie, pasticcerie: un’expertise a 360 gradi nel mondo della somministrazione, tra acquisizioni e cessioni, che ancora oggi definirei fluida”.
A fine anni 90 Ethos aveva in portafoglio cinque ristoranti: era arrivato il momento di mettere in stand-by i progetti di sviluppo per linee esterne per dedicarsi a un’indispensabile crescita interna, a cominciare dal potenziamento del back office e delle funzioni strutturali (finanza, amministrazione, risorse umane), tutte centralizzate. “Crescere tanto ma senza l’opportuna attenzione al controllo di gestione, alla contabilità analitica, al presidio del food&beverage e degli acquisti è molto rischioso: un pericolo che corrono soprattutto gli imprenditori italiani, spesso troppo concentrati sull’offerta F&B. Lo abbiamo capito per tempo e così abbiamo potuto affrontare una seconda fase di espansione negli anni Duemila”.
Ethos in passato ha anche gestito il F&B di catene alberghiere: un’esperienza faticosa ma molto formativa, alla quale ha rinunciato perché non godeva dell’autonomia che è nel suo Dna. “Forse per questo – riflette Scotti – tutti i nostri ristoranti sono a gestione diretta. Almeno finora non abbiamo mai pensato al franchising: fare il master è un altro mestiere, non ci interessa replicare uno stesso format e, in fondo, preferiamo avere il controllo diretto di tutto il business”.
LE NOVITÀ DI ETHOS NEL 2019
Lo scorso anno ha portato con sé un’importante acquisizione e una chiusura resa inevitabile da circostanze particolarmente avverse. La prima è quella del Birrificio di Como, aperto nel 2004 alle porte della città, che integra un birrificio e spazi per oltre mille posti a sedere. Scotti considera l’operazione una naturale evoluzione nella storia del locale. “I proprietari erano nostri amici che sentivano esaurita la loro esperienza: restano comunque proprietari dell’immobile. In pochi mesi, il rilancio ha dato buoni risultati”.
A Roma, nella centrale piazza della Repubblica, il Gruppo aveva scommesso su un progetto in partnership con Eataly, chiamato non a caso “Eataly Incontra Gruppo Ethos”: un locale che proponeva somministrazione e vendita. Il malaugurato guasto e l’interminabile chiusura della vicina fermata della metropolitana – oggetto di mille polemiche – hanno drasticamente ridotto il passaggio pedonale e a risentirne sono stati tutti gli esercizi della zona: anche se a malincuore, la decisione di chiudere è stata inevitabile.
DIVERSIFICARE È LA REGOLA
Un tratto caratteristico dei ristoranti è la loro unicità: impossibile dunque parlare di format specifici. “La nostra esperienza poliedrica si riflette nelle nostre scelte. Basti pensare che per i dieci locali abbiamo creato otto diversi brand e dieci diversi menu. Considerando anche le diverse tipologie di somministrazione – alcuni hanno la caffetteria aperta dalle 8 alle 24, altri la vendita di prodotti, alcuni sono pizzerie, altri più assimilabili a steak house o a birrerie – va da sé che non ci sono caratteristiche strutturali, di arredamento, di materiali che li accomunino”.
Lo stesso vale per il target, molto eterogeneo. Scotti ama sottolineare che ogni ristorante si adatta alle esigenze e al profilo dei clienti. Una strategia che implica un attento lavoro di back office, ma garantisce l’aggiornamento e l’innovazione costanti della proposta. “Se a pranzo ci frequenta una clientela soprattutto business, alla sera siamo un punto di riferimento per le cene di gruppo. Nel fine settimana attiriamo molte famiglie, grazie ai laboratori gestiti da animatrici che piacciono molto ai bambini. Negli ultimi anni ci siamo rivolti con successo anche a target definiti, come i bikers e la comunità gay”.
FOCUS SULLE MATERIE PRIME
Per una realtà che punta molto non solo sull’ampiezza dell’offerta, ma anche e soprattutto sulla qualità delle materie prime, l’attenzione su questo aspetto è massima. Il che si traduce in un meticoloso scouting dei potenziali fornitori e in un forte orientamento ai prodotti biologici, tanto che nel menu i piatti 100% bio sono contrassegnati da un bollino.
Allo stesso tempo, alcune categorie di ingredienti sono esclusivamente bio e vengono usate trasversalmente per tutte le preparazioni. “Per noi si tratta di una scelta etica, ma anche di un’opportunità per avere un ritorno sul territorio, sostenendo piccole realtà come le numerose aziende agricole da cui ci approvvigioniamo”.
DELIVERY O DARK KITCHEN?
Sulla consegna a domicilio, di questi tempi assai utilizzata da molti ristoranti per mantenere un minimo di attività e soddisfare le forti richieste, Scotti ha un punto di vista originale. “Indubbiamente ha preso piede un po’ in tutti i nostri ristoranti, ma secondo me resta un’appendice dell’attività. Bisognerebbe avere la forza di gestirla in proprio, per presidiare meglio le consegne, soprattutto per prodotti che rischiano di arrivare deteriorati, e anche per mantenere il rapporto con il cliente che altrimenti resta un patrimonio delle società specializzate”.
Insomma, per reggere dal punto di vista economico il delivery dovrebbe diventare l’attività principale. Non a caso, secondo il patron del gruppo Ethos, un’alternativa valida alla semplice consegna è semmai la dark kitchen, che può configurarsi come vero e proprio business a sé stante, col vantaggio di non essere gravato da costi come gli affitti e la struttura di un ristorante classico. “Per la verità, tre anni fa ci avevamo pensato, collaborando con Deliveroo a un progetto basato sull’utilizzo delle nostre cucine e sulla creazione un brand dedicato. Alla fine, l’iniziativa non si è concretizzata”.