Un healthy food delivery con finestra sulle dark kitchen. Nata tre anni fa sul modello di una azienda americana, NutriBees è partita con la mission di garantire una giusta alimentazione ai suoi clienti a domicilio: un’unica cucina centralizzata che sforna piatti pronti spediti a casa in tutta Italia in abbonamento settimanale. Un modello distante da quello del delivery in pronta consegna: ordine minimo di 5 piatti (massimo 20) scelti tra una quarantina di proposte per comporsi la propria dieta settimanale (l’impronta è healthy ma comprende anche ricette regionali, internazionali, bio). Il tutto grazie a prodotti confezionati in atmosfera modificata e quindi capaci di resistere in frigorifero anche 15-20 giorni senza necessità di ricorrere a conservanti. L’idea ha avuto un grande successo e nei mesi di lockdown è cresciuta in tripla cifra. Tanto da rilanciare il suo modello con nuove idee per il new normal. Come le virtual kitchen. «Nei mesi di marzo e aprile abbiamo registrato anche un +150%-200% negli ordini», ci racconta il ceo e fondatore di NutriBees, Giovanni Menozzi. «Nel lockdown abbiamo perso i clienti da ufficio ma al contempo più gente ha iniziato a conoscerci e questi nuovi utenti stanno continuando a utilizzare il nostro servizio anche ora, tanto che i volumi sono raddoppiati rispetto al pre-Covid».
Il vostro target è cambiato durante i mesi del Covid?
«Il cliente tipo è 35-55 anni, impegnato lavorativamente e con poco tempo per cucinare. Ma intenzionato ad alimentarsi bene. O figli che acquistano il pranzo per il genitore anziano per tutta la settimana. Ora anche gli smartworker sono entrati nel nostro target e hanno iniziato a utilizzare il servizio».
Scalabilità, un’unica cucina centralizzata e nessun ristorante o corner fisico. Il vostro modello assomiglia a quello delle cosiddette “dark kitchen”?
«Sì ci sono diversi punti di contatto. Tanto che ora che il new normal ha riscritto le regole della ristorazione, il modello della cucina virtuale potrebbe essere una valida risposta».
Avete delle iniziative in programma?
«Stiamo portando avanti contatti con chef stellati e insegne di ristorazione. L’idea potrebbe essere quella di studiare insieme delle ricette, realizzarle nei nostri laboratori seguendo le indicazioni dei partner e metterle sul portale e poi spedirle in ogni parte d’Italia. In pratica diventare noi stessi una dark kitchen».
Il business delle dark kitchen può rappresentare un’opportunità per un intero settore, quello della ristorazione, che si sta reinventando per adattarsi a nuove regole e nuovi clienti?
«Riorientare il proprio modello da un business tradizionale fatto di sala e sporadiche consegne a uno incentrato sul delivery è una cosa che non si improvvisa. Serve ingegnerizzare il processo, pensare alla sostenibilità produttiva e logistica e perfezionare il packaging. Detto questo le dark kitchen rappresentano per alcuni brand uno sbocco naturale».